Il 21 ottobre è una data che porta particolarmente bene a Kimi Raikkonen: esattamente undici anni fa, quel giorno, il finlandese si laureò campione del mondo al volante della Ferrari, ultimo pilota a riuscirci, un’impresa fallita da Fernando Alonso e che ancora sta rincorrendo Sebastian Vettel. A distanza di 4018 giorni, Iceman sale di nuovo sul gradino più alto del podio (cosa che non accadeva dal GP Australia 2013 quando Kimi guidava ancora la Lotus, oggi diventata Renault) trionfando nel Gran Premio degli Stati Uniti. A 39 anni compiuti quattro giorni fa, Raikkonen resta uno dei pochissimi a togliere la scena a Lewis Hamilton: doveva essere il weekend della consacrazione per il britannico che probabilmente aveva già preparato la festa per il quinto titolo iridato che invece è rinviata di almeno una settimana. Nessun dramma, per confermarsi campione gli basterà arrivare settimo in Messico, con una Mercedes che probabilmente avrebbe fatto vincere qualche gara anche a Giovanni Lavaggi (un caro e affettuoso saluto al pilota siciliano che ha contribuito a mantenere la bandiera italiana in Formula 1 a metà anni novanta, prima dell’arrivo di Trulli e Fisichella). Anche perché ormai Vettel sembra aver imboccato un tunnel senza via d’uscita, e qui ad Austin tanto per cambiare il tedesco si è rovinato con le sue stesse mani: penalità di tre posizioni in griglia per non aver rallentato in regime di bandiera rossa durante le prove libere, al primo giro si è toccato con Ricciardo andando in testacoda e compromettendo la sua domenica.



Vettel si è dovuto accontentare del quarto posto e a questo punto ci accontentiamo che completi un weekend senza fare danni come un Rosset qualunque. Hamilton ci ha comunque provato a chiudere definitivamente i conti già negli USA, ma ha dovuto fare i conti con una Mercedes che ha faticato più del previsto con la gomma gialla (soft), e soprattutto con un fantastico Max Verstappen. L’olandese è partito dalla diciottesima posizione in griglia ed è arrivato a pochi decimi dalla vittoria: il futuro è suo e se la Honda non deluderà le attese già dal 2019 contenderà il titolo a Hamilton e Vettel. Bottas si è limitato al compitino, agevolando il cammino a Hamilton e cedendogli la posizione ogni volta che se lo è ritrovato alle spalle. Daniel Ricciardo non ha nemmeno tagliato il traguardo, la sua gara è durata 9 giri: all’improvviso la sua Red Bull si è spenta e lo ha lasciato in mezzo alla strada: settimo ritiro stagionale per l’australiano che non vede l’ora di fare le valige, anche se continuerà ad avere sotto il sedere lo stesso motore Renault che quest’anno lo ha tradito più e più volte. Qualche pillola statistica: Raikkonen diventa il finlandese con il maggior numero di vittorie, 21; era dal 2006 che la Ferrari non vinceva negli States, quando Schumacher portò la Rossa al successo sul catino di Indianapolis; dopo 10 anni la Scuderia di Maranello ottiene almeno una vittoria con entrambi i piloti.



CLASSIFICA PILOTI

1. Lewis Hamilton (Mercedes) 346

2. Sebastian Vettel (Ferrari) 276

3. Kimi Raikkonen (Ferrari) 221

4. Valtteri Bottas (Mercedes) 217

5. Max Verstappen (Red Bull) 191

6. Daniel Ricciardo (Red Bull) 146

7. Nico Hulkenberg (Renault) 61

8. Kevin Magnussen (Haas) 55

9. Sergio Pérez (Force India) 54

10. Esteban Ocon (Force India) 53

11. Fernando Alonso (McLaren) 50

12. Carlos Sainz Jr. (Renault) 45

13. Romain Grosjean (Haas) 31

14. Pierre Gasly (Renault) 28

15. Charles Leclerc (Sauber) 21

16. Stoffel Vandoorne (McLaren) 8

17. Lance Stroll (Williams) 6

17. Marcus Ericsson (Sauber) 6



19. Brendon Hartley (Toro Rosso) 2

20. Sergej Sirotkin (Williams) 1

 

CLASSIFICA COSTRUTTORI

1. Mercedes 563

2. Ferrari 497

3. Red Bull 337

4. Renault 106

5. Haas 86

6. McLaren 58

7. Force India 48*

8. Toro Rosso 30

9. Sauber 27

10. Williams 7

* cancellati i punti costruttori ottenuti fino al Gran Premio d’Ungheria