Stramaccioni non conosce più la paura. Quella vera, reale, fatale, l’ha già sperimentata da giocatore, quando capì che non avrebbe più potuto essere un professionista. Se certi incantesimi, come le gambe, le ginocchia, le caviglie, si spezzano, non hai più nulla da perdere. Devi solo cercarti un altro mestiere, nel quale mettere a frutto l’esperienza. Qualcosa del genere capitò a Rocca, terzino “Kawasaki” della Roma anni ’70-’80.



Perchè le è venuto in mente proprio Rocca? Il paragone tra Stramaccioni e Rocca salta all’occhio per due motivi; intanto per la romanità, anche Francesco Rocca è nato a Roma ed è stato una bandiera giallorossa per molti anni. Poi, perchè anche lui come Stramaccioni ha intrapreso la carriera di allenatore, seppur non a livello di club ma all’interno della Federazione, con le nazionali giovanili (ha guidato la Nazionale Olimpica a Seul nel 1988; la squadra era di Zoff che però si era accordato con la Juventus, dunque Rocca che era il suo secondo andò in Corea come allenatore).

Entrambi hanno dovuto rinunciare alla carriera da calciatore… Francesco ha comunque fatto la sua carriera: anche dopo essersi distrutto il ginocchio – ed essere incappato in interventi chirurgici che lo hanno danneggiato anche di più – è andato avanti a giocare, pur da mediano dovendo rinunciare al ruolo di esterno e a quella progressione straordinaria per la quale era stato soprannominato ‘Kawasaki’. Stramaccioni non ha potuto proseguire ad alto livello, ma al pari di Francesco e di altri giocatori, atleti e persone (soprattutto persone) avendo visto spezzarsi il sogno di tutti i bambini ha qualcosa di più dal punto di vista caratteriale: sa trasmettere ai propri calciatori un valore che altri non hanno, la capacità di soffrire.

Possiamo fare altri esempi? Ci sono stati tanti giocatori promettenti che a causa di un grave infortunio hanno dovuto interrompere la carriera, accorciarla o continuarla con caratteristiche diverse. Parlando di grandi campioni mi viene in mente Alessandro Del Piero, che sicuramente è stato un giocatore prima del fatidico 1 novembre 1998 e un altro dopo; indubbiamente dopo quell’incidente abbiamo visto giocare un campione trasformato, con meno velocità ma con la stessa classe, e in più con una determinazione, una grinta e un carattere che probabilmente non avrebbe avuto se non fosse passato attraverso il travaglio di un incidente per il quale molti altri avrebbero smesso di giocare. 

Tornando a Stramaccioni: cosa aggiunge, oggi, la sua parabola di calciatore sfortunato? 

C’è una caratteristica psicologica pura che si affianca alle abilità tecnico-tattiche, un punto che altri che hanno avuto la strada più in discesa non possiedono. Stramaccioni ha in più questo: un quid che allenatori ai quali è stato accostato, e che sono immensamente più grandi di lui, non hanno. Nè Herrera nè Mourinho quando erano giocatori hanno sofferto quanto ha sofferto Stramaccioni; ecco perchè il tecnico dell’Inter ha qualcosa in più come capacità di trasmettere valori di grinta, combattimento, determinazione, orgoglio e ferocia.

Sono caratteristiche fondamentali? Sono valori che spesso nel calcio fanno la differenza, soprattutto a livello italiano dove oggi ci sono squadre forti ma non fortissime.Le motivazioni sono il valore aggiunto, lo ha dimostrato la Juventus vincendo il campionato al cospetto di un Milan che a livello individuale era senza dubbio superiore ai bianconeri. Ecco qual è il merito di Stramaccioni, che è riuscito persino a trovare il “feeling” con Cassano. Forse lui, Rocca e Del Piero sono legati dalla sfacciataggine di chi ha imparato a guardare, negli occhi, il destino. Dentro o fuori: sempre, senza mezze misure.

 

(Claudio Franceschini)