Un’altra battuta d’arresto per l’Inter. Ieri i nerazzurri non sono andati oltre il pareggio interno contro l’Atalanta. Milito ha avuto il rigore per cambiare la storia della gara, ma se l’è fatto parare da Consigli; e sarebbe anche potuta andare peggio, se l’arbitro avesse visto un fallo piuttosto netto di Lucio su Gabbiadini a dieci minuti dal termine. Adesso la classifica piange: lo scudetto era andato da tempo, ma anche il terzo posto appare più distante: è stato recuperato un punto alla Lazio e non si è perso contatto da Udinese e Napoli, ma adesso c’è una giornata in meno da giocare e le – poche – certezze che rimanevano a questo gruppo si stanno sciogliendo come neve al sole. C’è di peggio: il presidente Moratti ha abbandonato lo stadio prima che la partita finisse, tra l’altro con un nervosismo addosso non indifferente. Dobbiamo registrare la fine di un ciclo: nel calcio, si sa, questo accade, tutte le squadre, anche le più grandi, sono destinate a finire un giorno. E’ pur vero però che, dalla notte storica e trionfale di Madrid, la dirigenza nerazzurra non ne ha azzeccata una. Si è deciso di puntare sulla riconoscenza sui calciatori che avevano portato alla conquista del triplete, senza guardare alla necessità di rinverdire un gruppo logorato fisicamente e probabilmente senza più troppe motivazioni; l’addio di Mourinho è stato una pugnalata, anche e soprattutto per certi elementi della rosa. Moratti non ha più investito come negli anni passati, ma alcune operazioni sono oggettivamente sbagliate anche volendo giustificarle nel nome di un fair play finanziario che appare una scusa piuttosto che un reale problema: sono comunque usciti dalle casse del club 100 milioni di Euro in due anni, non esattamente pochissimo. In più, l’allontamento di Oriali, giusto o sbagliato o necessario che fosse, non è andato giù all’ex mediano, che in questi giorni ha tuonato contro l’attuale dirigenza dell’Inter, nello specifico Marco Branca: “Sta lavorando per l’anno prossimo? Mi auguro sia per un’altra squadra”, queste le sue parole. E sul suo futuro: “E’ più probabile che io vada al Milan o alla Juventus piuttosto che all’Inter”. In questi giorni si parla tanto del prossimo allenatore che siederà sulla panchina nerazzurra: si sono fatti tanti nomi, a seconda dei momenti, delle suggestioni, dei risultati.
L’impressione, però, è che all’Inter serva più che altro un uomo di polso che sieda dietro la scrivania, un dirigente con le idee chiare che sappia lavorare nonostante le pressioni della piazza e lo scontento che anima ormai l’ambiente. Insomma: un uomo “speciale”, in una squadra che mai ha dimenticato lo Special One José Mourinho. Ma Mourinho funzionava proprio perchè, nei due anni in cui fu ad Appiano Gentile, fece “terra bruciata” intorno a lui, assumendosi l’incarico di fare il mercato, prendere le decisioni, metterci la faccia in prima persona. Un manager all’inglese, e probabilmente la cosa a Moratti non andò giù: i trofei lo placarono, ma quando poi José firmò per il Real Madrid tutto tornò come prima. Di questo ha bisogno l’Inter di domani: di una figura dirigenziale che faccia quadrato e protegga la rosa da qualsiasi infiltrazione esterna. Per i moduli, poi, c’è sempre tempo: non è certo questo il problema dei nerazzurri, non lo è mai stato e Ranieri è sincero nel dire che a oggi l’Inter dà sul campo quello che può dare. E’ ora di rifondare, e le rifondazioni, si sa, partono sempre da dietro la scrivania.
(Claudio Franceschini)