Avanzano gli anni ma, da vecchio incallito interista, non puoi mai dimenticare: Sarti, Burgnich, Facchetti… Specialmente se hai passato i primi anni di giovinezza (non della canzone ma della vita) a sperare prima di giocarvi e poi almeno di lavorarvi: obiettivo realizzato, almeno questo, anche se per pochi mesi. Colpa dell’impegno che ci ho messo, che ha fatto sì che il grande Ivanoe Fraizzoli, presidente del recupero di 7 punti sul Milan nel 1970-71, mi portasse nelle sue aziende. Pirlaggine dei giovani di 40 anni fa, che pensavano che impegnandoti avresti raggiunto i tuoi sogni. Però l’Ivanoe riconosceva, a modo suo, questa mia predisposizione a lavorare nel mondo del calcio: ero arrivato a lui facendo la tesi di laurea in economia proprio sull’Inter, tanto che nessun altro oltre al sottoscritto poteva fotocopiare le bozze di accordo con Platini, Deyna e Müller, purtroppo solo quest’ultimo trasformato in contratto. Lui lo riteneva un grande onore, e anch’io, ma pure una valvola di sfogo. Infatti questi accordi segretissimi finivano immancabilmente sui giornali perché ne parlava con i suoi più fidati collaboratori stando seduto ad un tavolo troppo vicino al bar di via De Togni, dove i giornalisti si appostavano e potevano udire le sue… conferenze segrete. Fraizzoli aveva però la fortuna di usarmi come valvola di sfogo accusandomi di aver parlato con i giornalisti, cosa che sicuramente avrei fatto se almeno ne avessi conosciuto uno, invece al massimo facevo il bauscia al bar del mio paese anticipando le notizie agli amici. Erano ancora periodi romantici del calcio anche se già a fronte di ingressi economici di 100 lire la squadra costava 106, e i presidenti spendevano sicuri che nel momento in cui si fossero stancati sarebbe sicuramente arrivato qualcuno, in cerca di facile gloria, disposto a ripagarli con gli interessi. Un mondo completamente diverso da quello odierno, dove il calcio è diventato esclusivamente un’attività economica purtroppo spesso regolata da leggi superate e/o interpretabili molto soggettivamente. D’altra parte come possiamo pensare che questo sport abbia ancora alla base valori sociali – come sarebbe logico perché dobbiamo tener conto che, pur considerando avversaria l’altra squadra, senza di lei non puoi giocare – quando la vetustà delle strutture e la possibilità di vedere le partite seduti davanti alla tv svuotano gli stadi ove i non cretini possono discutere con co-tifosi e avversari (spesso la discussione è più aspra fra tifosi della stessa squadra, specie se si sta perdendo) facendosi nuovi amici, creando contatti che possono essere utili in molti modi.
Io penso che le migliori amicizie si impostano a tavola o allo stadio: oggi quest’ultima possibilità viene sempre più preclusa. Sono però convinto che le persone usino appieno la propria intelligenza solo nella difficoltà, e allora ecco che la crisi economica attuale potrebbe essere una opportunità per rivedere tutta l’impostazione del mondo calcistico. Con meno soldi sarà obbligatorio rilanciare i vivai, osservare meglio le opportunità dei settori dilettantistici, diminuire il numero di squadre (e di persone) definite professioniste, imporre serietà nei pagamenti a chi vi opera (stipendi,contributi ecc.) facendo del calcio una reale attività sportiva, economica e sociale che possa, come sarebbe utile, essere da esempio a tutto il mondo giovanile e non una fabbrica di ragazzi che spesso a 30 anni rischiano di rimanere senza arte nè parte. Ultimo avviso ai naviganti: attenti ai settori giovanili. I ragazzi debbono essere seguiti negli studi e, se non hanno voglia di studiare, non lasciarli a bighellonare; con Fraizzoli il futuro capitano Bini, nei momenti di libertà, veniva mandato in società a lavorare, anche come fattorino.