Ora è ufficiale: il passaggio di proprietà è concluso e l’Inter è al 70% nelle mani di Erick Thohir e dei suoi due soci indonesiani. A Massimo Moratti restano il 30% del pacchetto azionario e certamente un ruolo importante in società, forse anche la carica di presidente. Tuttavia, è chiaro che non sarà più Moratti a comandare, dunque questo martedì 15 ottobre 2013 segna la fine di un’epoca, pur se il passaggio alla nuova era non sarà una rottura drammatica. Si chiudono così ben 18 anni e mezzo, tanti ne sono passati dal 18 febbraio 1995, giorno che aveva visto il passaggio della proprietà da Ernesto Pellegrini al figlio di Angelo Moratti. In un certo senso era un “ritorno a casa”: Massimo aveva vissuto da ragazzo i trionfi della Grande Inter paterna, e da allora aveva sempre amato i colori nerazzurri. In fondo al cuore aveva il desiderio di comprare la società e ripercorrere le orme paterne. Alla fine ce l’ha fatta, anche se questi diciotto anni (e mezzo) sono stati un romanzo avventuroso, con pagine gloriose e momenti invece molto più difficili. I primi anni sono positivi: Moratti porta subito i nerazzurri ai vertici, nel 1997 sfiora la Coppa Uefa e in quella stessa estate acquista per circa 48 miliardi di lire Ronaldo dal Barcellona. E’ l’Inter di Gigi Simoni e del Fenomeno, quella che nel 1998 vince la Coppa Uefa (che allora era un grande torneo, non come l’Europa League di oggi) e in campionato deve cedere alla Juventus solo al termine di uno dei campionati più discussi e discutibili di tutti i tempi. L’Inter è comunque tornata ai vertici del calcio sia italiano sia europeo, eppure proprio sul più bello qualcosa si inceppa. Moratti è un presidente innamorato della sua squadra, forse anche troppo: ciò da un lato è un bene, basterebbe dire che nelle successive due stagione MM aggiunge Roberto Baggio e Christian Vieri a Ronaldo, dall’altra è un male, perché agisce più con l’impulsività dell’innamorato che con la lucidità del dirigente sportivo. Come spiegare altrimenti l’esonero di Simoni subito dopo avere battuto il Real Madrid in Champions League, nell’autunno 1998? Da lì si entra in anni neri, in cui l’Inter naviga in pessime acque tanto da spingere il presidente ad affidarsi al capitano nemico per eccellenza, Marcello Lippi. Tuttavia la scintilla non scatta, il matrimonio finisce dopo poco più di un anno e il 2000-01 è in assoluto l’anno peggiore, aperto dagli sciagurati preliminari persi contro l’Helsingborg ancora con Lippi e chiuso con l’umiliazione dello 0-6 nel derby. Certo, anche la sfortuna ci mise lo zampino – basterebbe ripensare alla serie incredibile di infortuni subiti da Ronaldo – ma immaginare una nuova Grande Inter morattiana in quegli anni sembrava una pia illusione. La scelta di Hector Cuper fu l’inizio della rinascita, anche se la stagione del riscatto finì con la beffa più amara di tutte, in una data epica come aveva insegnato il Manzoni quasi due secoli prima. Ancora qualche alto e basso, fino all’arrivo di Roberto Mancini. Qui finalmente tutto inizia a girare per il verso giusto: un ottimo allenatore, tanti colpi di mercato azzeccati e spesso pure a basso prezzo (da Figo a Cambiasso, da Julio Cesar a Maicon giusto per fare i nomi più illustri) e naturalmente anche Calciopoli. Non ci addentriamo in questo tema, che ci porterebbe troppo lontano, ma ricordiamo che ci sono sentenze sia penali sia sportive che parlano chiaro sull’argomento. Quello che ci interessa ora rimarcare è che inizia un’epoca leggendaria, segnata dalla conquista di cinque scudetti consecutivi, come nella storia del calcio italiano era riuscito solo alla Juventus degli anni Trenta e al Grande Torino del secondo dopoguerra. Anni straordinari, ricchi di tantissimi successi, comprese Coppe Italia e Supercoppe Italiane in quantità: finiscono i cori “non vincete mai”, la Juventus finisce addirittura in serie B, il Milan ogni anno parte per togliere il tricolore ai cugini e finisce invece sempre con un distacco in doppia cifra, solo la Roma prova a dare fastidio, con una serie di sfide che diventano un vero e proprio tormentone. Eppure dominare in Italia non basta a Massimo: per raggiungere il padre servono Champions League e Mondiale per Club. Per raggiungere l’apogeo, ci vogliono José Mourinho, il ‘Mago’ straniero dell’Inter contemporanea, novello Helenio Herrera, e l’affare del secolo. (continua)
Via Zlatan Ibrahimovic, comunque da ricordare con affetto come eroe di tre scudetti consecutivi (il diluvio di Parma 2008 su tutto), ecco un certo Samuel Eto’o e la bellezza di circa 50 milioni di euro, con cui arrivano altri campioni, su tutti Wesley Sneijder e naturalmente Diego Milito, l’eroe del Triplete 2010. Gol nella finale di Coppa Italia, gol nell’ultima e decisiva giornata di campionato – naturalmente sempre ai danni della Roma – e infine la doppietta nella notte di Madrid, in una data che nessuno potrà mai più dimenticare, il 22 maggio 2010. L’Inter non può mai vincere in modo normale, quando lo fa stabilisce record in serie, come già con lo scudetto dei record 2007 che migliorò alcuni record del 1989 (sempre nerazzurro). Qui qualcosa cambia, il figlio ha finalmente raggiunto il padre, e toccherà il tetto del mondo con la vittoria a dicembre nel Mondiale per Club, ultimo sigillo che mancava ad un ciclo leggendario. Negli ultimi anni la transizione non riesce, e il peso dei conti economici mai a posto inizia a farsi sentire. Il calcio del Terzo Millennio non è più quello dei mecenati: servono nuovi capitali per rimanere competitivi, e Moratti va a trovarli in Indonesia, fedele alla vocazione… Internazionale che i nerazzurri hanno nel DNA fin dal nome, e dalla scissione dal Milan nel 1908 quando i dissidenti non accettarono di far giocare solo italiani. Le “umili origini” tante volte ricordate da Peppino Prisco, uno dei grandi interisti che hanno visto l’inizio ma non la fine della seconda era Moratti, un po’ come Giacinto Facchetti, per alcuni anni pure presidente quando MM aveva preso un po’ le distanze dalla gestione diretta della squadra e morto proprio nell’estate 2006, dopo avere spalleggiato il patron nella battaglia per cambiare il calcio italiano. Finito? Non ancora. Bisogna citare ancora i due calciatori in assoluto più amati da Moratti. Un padre che ha amato tutti i suoi figli (pardon, giocatori), ma con due di loro il feeling è stato unico. Uno è naturalmente Javier Zanetti, arrivato ragazzino nel 1995, prima estate della presidenza Moratti, e ancora adesso colonna della Beneamata, avendo vissuto al fianco del presidente tutta questa epopea che abbiamo provato a riassumere in poche righe. L’altro è Alvaro Recoba, classe purissima espressa solo a tratti. Il Chino è il simbolo del calcio romantico e sognatore, quello perfetto per un figlio che voleva far rivivere il mito del padre. Ora entriamo nell’era dell’Inter 2.0, ma questi diciotto anni (e mezzo) rimarranno per sempre indimenticabili… (Mauro Mantegazza)