Ieri Javier Zanetti è tornato protagonista di una partita di calcio. D’accordo, è rimasto in panchina per tutta la durata del match vinto dall’Inter contro l’Udinese, ma sei mesi dopo il gravissimo infortunio subito a fine aprile scorso (e a 40 anni) già questo è un grande successo. Oggi il capitano nerazzurro è intervenuto nel corso della trasmissione radiofonica Deejay chiama Italia di Radio Deejay ed è stato protagonista di una lunga chiacchierata con i conduttori Linus e Nicola Savino. Eccone alcuni tra i passaggi più interessanti. Si comincia naturalmente dal suo ritorno in campo: “Dico grazie al lavoro con i fisioterapisti e preparatori, ce l’ho messa tutta per tornare bene. Ieri sono stato in panchina e spero presto di tornare in campo. Sollevo di leg press circa 190kg a gamba”. Nel frattempo ha pubblicato l’autobiografia scritta con Gianni Riotta, di cui ha parlato così: “Ci abbiamo messo quasi un anno. Gianni è venuto a casa mia tante volte. A dicembre è venuto in Argentina con me a vedere il quartiere dove abitavo io e a conoscere un po’ la realtà di quando ero bambino. Credo che questo racconto sia venuto molto bene. Il titolo è Giocare da uomo, che per me significa giocare con i valori che ho imparato da bambino, con lealtà e dignità. Io sono cresciuto con questa educazione che mi hanno impartito i miei genitori”. A proposito di Argentina, se ne parla molto: “Da noi c’è una grande cultura calcistica. Ci sono tanti campetti per le strade dove vedi giocare moltissimi bambini che vanno dietro il pallone. Abbiamo un agonismo completamente diverso rispetto ai brasiliani, e conosco quasi tutti i miei connazionali che oggi giocano in serie A”. Tanti sono – o sono stati – anche suoi compagni di squadra in nerazzurro, da quel Sebastian Rambert oggi ricordato come suo compagno nello sbarco a Milano nel lontano giugno 1995 (“L’allenatore era Ottavio Bianchi. Arrivai con Rambert, all’epoca c’era la regola che potevano giocare solo tre stranieri. C’erano Roberto Carlos, Ince, Rambert. Io ero il quarto… Ho 745 presenze con l’Inter, Rambert due. Era giusto però che all’epoca la scena se la prendesse Rambert, perché lui era capocannoniere del campionato argentino mentre io ero uno sconosciuto”), ad Esteban Cambiasso, compagno di squadra e di successi ormai da dieci anni (“In campo non parlo tanto, il Cuchu invece sì”) fino a un Ricky Alvarez sempre più convincente, che Pupi descrive così: “Quest’anno sta avendo grande continuità dopo una stagione difficile come quella dell’anno scorso, dove tra infortuni e problemi che avevamo lui ha dovuto sopportare i fischi di San Siro. Però lì ha dimostrato grande personalità e adesso sta giocando molto bene”. Zanetti non ha però in mente di tornare in Argentina, anche perché metà della sua vita si è svolta in Italia, e i suoi figli sono a tutti gli effetti italiani (“Sono sempre vissuti qua, vanno a scuola in Italia e parlano italiano, anche se io e mia moglie in casa usiamo lo spagnolo anche con loro”). In questa rapida panoramica sulla vita del capitano dentro e fuori dal campo, c’è tempo anche per parlare di José Mourinho (“Un grande, un vincente, uno con grande personalità ma molto vicino ai giocatori. Non arrogante come si pensa e soprattutto molto preparato”) e di Walter Mazzarri, con un interessante paragone tra l’attuale allenatore e lo Special One:
“Mazzarri è l’allenatore che urla di più tra tutti quelli che ho avuto in questi 20 anni, però fa bene perché dobbiamo essere sempre concentrati. Se ti rilassi ti puniscono. Anche Mourinho urlava tutto quello che scriveva nel taccuino” Tornando all’Argentina, non si può non parlare anche di Diego Armando Maradona e Leo Messi: “I più forti nella loro epoca. Impossibile dire chi è il migliore. Con Maradona non ho mai giocato. L’ho avuto solo come allenatore. Con Messi invece sì e posso dire che tutto quello che ha fatto e sta facendo è straordinario. La sua migliore qualità è la velocità con la palla ai piedi. E’ quasi impossibile toglierla. Pensate che nella semifinale di ritorno al Camp Nou io dovevo marcarlo ed ero diffidato e quindi pensavo: ‘Una volta mi scappa via e mi faccio ammonire’. A proposito di quella partita, non dissi a Samuel Eto’o che era quasi finita già nel primo tempo. Lui non aveva capito che intendevo che mancava poco alla fine del primo tempo. Mancava un’eternità: quella partita lì era infinita”. La chiusura è per il presidente Massimo Moratti e per la recente svolta societaria: “Io credo che lui rimarrà. Starà sempre insieme a noi. Adesso sarà affiancato da altre persone sempre per il bene di questo club. La mia speranza è quella di rimanere in questa grande famiglia”.