“L’Inter di Mourinho è una squadra di cui nessuno si ricorda. Non ha lasciato un’eredità”. Frase pesante, se pensiamo che la formazione alla quale si fa riferimento è quella che ha centrato il Triplete nella stagione , prima e finora unica italiana a riuscirci: campionato, Coppa Italia, Champions League. Era l’ultima versione del biennio di José Mourinho che, esattamente come aveva fatto sei anni prima con il Porto, si sfilò la medaglia dal collo, salì su una macchina e abbandonò, direzione Real Madrid. Frase pesante, dicevamo: se però pensiamo a chi l’ha detta, i conti tornano un po’ di più. Trattasi di Xavi, uno dei calciatori simbolo del Barcellona che ha vinto tutto sotto la guida di Pep Guardiola, e che nonostante una flessione promette di farlo ancora (intanto, con Tito Vilanova si è preso la Liga lo scorso maggio, e con Gerardo Martino la Supercoppa di Spagna). Per i blaugrana la semifinale di quell’edizione di Champions League è stata lo smacco più grande degli ultimi anni: arrivava da un 2009 nel quale aveva fatto incetta di trofei, vincendone sei su sei. Guardiola, alla seconda stagione alla guida della squadra, aveva praticamente già chiuso i conti nella Liga (la seconda consecutiva) e si avviava a spron battuto a conquistare anche la seconda coppa in Europa. Non c’erano dubbi che quella fosse la squadra più forte al mondo, forse addirittura la migliore di tutti i tempi (anche se la definizione sarebbe arrivata in seguito, quando nel 2011 i blaugrana batterono il Manchester United a Wembley). Eppure, Mourinho fece lo scacco al re: vinse in rimonta all’andata (3-1), e al ritorno nonostante la sua Inter fosse rimasta in dieci tenne il pareggio fino a cinque minuti dal termine, subendo la rete di Piqué che a quel punto non cambiò le carte in tavola. Il Barcellona la prese talmente male che cercò di rovinare la festa nerazzurra accendendo gli idranti che bagnavano il campo: un atteggiamento decisamente poco professionale. Non bastasse quell’episodio, con lo Special One i catalani si sono anche incrociati nei tre anni successivi: alla guida del Real Madrid il tecnico portoghese ha soffiato all’eterno rivale una Liga, una Copa del Rey e una Supercoppa di Spagna. Decisamente poco rispetto a quanto ci si era prospettati al Bernabeu; anche perchè nel frattempo il Barcellona lo ha eliminato in Champions League, gli ha ripreso il titolo di campione di Spagna con qualche batosta annessa negli scontri diretti (su tutte, la manita del novembre 2010). E c’era anche stato il precedente: due sfide agli ottavi di finale di Champions quando il portoghese era il Chelsea. La prima vinta all’ultimo minuto dai Blues, con polemiche infinite a Stamford Bridge;  



La seconda l’anno seguente, con la rivincita spagnola e la definitiva consacrazione di Leo Messi che fece venire il mal di testa ad Asier Del Horno, costretto ad abbatterlo con cartellino rosso. “Mourinho si è autoproclamato Special One, ma punta solo sul risultato e non ha mai fatto spettacolo; non mi piace come giocano le sue squadre”. E’ l’eterna lotta tra il bel calcio – anche vincente, nel caso blaugrana – e l’essenzialità mourinhana, cioè di uno che non ha mai fatto spettacolo ma al quale i risultati hanno dato ragione. Una cosa è certa: tra il Barcellona e Mourinho non corre buon sangue. L’altra certezza è che, purtroppo per i tifosi nerazzurri e il calcio italiano, Xavi non ha tutti i torti: per quanto quell’Inter abbia dominato la stagione, il suo retaggio è stato inesistente. La decisione di confermare tutti i big – con aumento dell’ingaggio – nonostante le grandi richieste sul calciomercato ha portato a una recessione di risultati e a una continua girandola di allenatori: sei dal giugno 2010 a oggi. Questa però è un’altra storia; per proseguire quella dei due contendenti, aspettiamo un altro incrocio europeo. Chissà: magari sarà risolta da Samuel Eto’o, che in quell’ìncrocio del 2005 si era sentito rivolgere degli insulti razzisti e aveva annunciato che mai e poi mai avrebbe giocato nel Chelsea o per José Mourinho.



(Claudio Franceschini)

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