Nonna Rosetta me lo ha sempre ricordato, con semplicità matematica: un uomo può scegliersi gli amici, non i parenti. E’ successo anche all’Inter quando nel lontano 1995 puntò il dito (e 4,2 miliardi di lire) sul bullo Sebastian Rambert, “Avioncito” (aeroplanino) del Racing Avallaneda mai decollato a Milano. Quel giorno Massimo Moratti scelse un amico ma trovò un fratello: Javier Zanetti da Buenos Aires, che diciannove anni dopo diventerà vice presidente di famiglia. Negli anni i tifosi dell’Inter hanno imparato ad amarlo ogni giorno di più e insieme a darlo per scontato, come si fa con i fratelli quando si torna a casa. Loro ci sono, così come sono e non come vorremmo noi, ma sempre e comunque. Diciannove anni e 857 partite dopo la sua prima volta, Saverio Zanetti entra di diritto nella genealogia di tutti gli interisti. Perché con lui si è aperta e conclusa la seconda epopea morattiana. Perché con lui i bauscia hanno riso, soprattutto negli anni di Mancini a Mourinho ma anche prima, con Gigi Simoni a Parigi ad esempio. Perché con lui hanno pianto, più e più volte e una su tutte il 13 maggio 2003, quando la regola dei gol trasferta mandò in finale di Champions il Milan; quella sera Zanetti scoppiò in lacrime in mezzo al campo, come un teenager-tifoso qualsiasi sul divano di casa: non ci fu miglior (o peggior) manifesto della resa nerazzurra, totale ancorché immeritata (avete mai visto piangere un Tractor?). Poche cose forgiano fratellanza come il dolore e quello sportivo non va sottovalutato, se è vero che calcio e derivati sono il vero oppio dei popoli. Gioie e traumi ma non solo: con Zanetti i tifosi dell’Inter hanno amato, campioni fragili e gregari di ferro; con lui hanno odiato, avversari più forti ed altri più stronzi ma anche compagni di viaggio, come il buon Roy Hodgson nella finale UEFA 1997. Con lui si sono chiesti perché: perché Ceccarini e Ronaldo, perchè quattro allenatori in un anno, perché 6 pere in un derby, perché Gresko e il 5 maggio, perché Luciano Moggi, perché Ronaldo al Milan, perché la maglia rossa; ma anche perché Marcello Lippi, perché Pirlo-Brincic, perché Sergio Conçeiçao, perchè Cannavaro-Carini, perché Adriano non segna più, perchè non portare Recoba a Lourdes, perché Ibra ha mal di pancia, perché a Mazzarri non danno un rigore, perché quando glielo danno Milito lo sbaglia. Con Zanetti l’interista ha viaggiato, conoscendo persone e luoghi (Helsingborg? Tranzonspor? Ah, Madrid…), vittorie e sconfitte, forse anche sè stesso. Quando un uomo ride, piange, ama, odia, riflette, scherza ed esplora con una persona per diciannove anni non ci sono molte alternative: ha scelto una…
…donna oppure ha trovato un fratello. Quello che forse non è simpatico o complice come l’amico o il fuoriclasse di turno ma c’è sempre, nel suo caso con tantissimi pregi e difetti (quali?). Quello che s’impara ad amare, anche se non lo si dice mai. Per questo è doveroso ritirare il numero 4 dell’Inter: in questo modo Javier Zanetti non ci sarà più, ma ci sarà sempre.
(Carlo Necchi)