Premessa: se siete tifosi dell’Inter in collera lasciate perdere queste righe, rischierebbero solamente di alzare il vostro termometro emotivo. Se invece avete smaltito le tossine del post Inter-Parma, ennesimo risultato da barzelletta della stagione nerazzurra, potete proseguire. Una storiella raccolta da un saggio narra di tre presidenti, quelli di Roma Milan ed Inter, convocati singolarmente dal Padreterno. Dopo un lungo faccia a faccia privato, il numero 1 giallorosso arriva al dunque e domanda: ‘La Roma vincerà un altro scudetto?’. E Dio: ‘Sì, ma tu non ci sarai più’. Tocca poi al presidente del Milan presentarsi al cospetto dell’Altissimo, e dopo i convenevoli di rito srotolare come una supplica il suo più grande dubbio sportivo: ‘Vinceremo un’altra Champions League?’. E Dio: ‘Sì, ma tu non ci sarai più’. Infine il patron dell’Inter: tra un’oliva e un Martini (o un cicchetto di Nettare, forse lassù va di più) snocciola la questione chiave. ‘Vinceremo ancora qualcosa?’. E Dio, dopo pausa scenica: “Sì. Ma io non ci sarò più”.



Di barzelletta si parlava e da una barzelletta siamo partiti per introdurre una riflessione non troppo tecnica sulla frustrante stagione nerazzurra. Sempre meno ‘una delle tante’ e da domenica scorsa negativamente unica: la stampa sportiva ha puntualmente sottolineato come gli attuali 38 punti rappresentino il minimo storico per l’Inter dopo 29 giornate di campionato, nell’epoca dei tre punti per vittoria e quindi dall’annata 1994-1995. Non basta una divisa gessata per impietosire gli dei del calcio: purtroppo ci vogliono anche giocatori adatti e Dio solo (quello vero) sa quanto i tifosi dell’Inter dovranno avere pazienza per tornare ad esultare in piazza. Però al di là dei legittimi processi contro Ranocchia&company può essere utile riconsiderare i recenti passi falsi alla luce di un altro significato, un messaggio di cui l’Inter è sempre stata -volente e il più delle volte nolente- portatrice sana.



Basta pensare al nome completo della squadra (‘Internazionale’) per ricordare come i padri fondatori del ristorante L’Orologio abbiano istituito il club per dare spazio a tutti, anche e soprattutto a quelle persone che il Milan aveva scartato perché non italiane. Il pittore Giorgio Muggiani (1887-1938) battezzò il neonato gruppo calcistico come ‘i fratelli del mondo’. Oltre 100 anni dopo, in un mondo che quel Muggiani farebbe forse fatica a riconoscere, la squadra ha mantenuto il suo sangue blu (e nero, ci mancherebbe): non a caso è una delle più conosciute e tifate in tutto il mondo, non a caso è una di quelle con più giocatori stranieri in rosa; non a caso -e qui sta il punto- è sempre pronta a concedere qualcosa del suo a chi ne ha bisogno. Come l’ultimo Parma, che ha portato via da San Siro un pareggio quasi simbolico ma sportivamente significativo, nelle condizioni in cui è maturato (per non parlare del 2-0 rifilato all’andata, con la più unica che rara doppietta di Paolo De Ceglie). Come il penultimo Cesena, che dall’1-1 di Milano ha tratto altra linfa per la sua rimonta salvezza. Come il Novara 2011-2012 che all’Inter strappò la prima vittoria in A dopo tempo immemore (3-1 al Silvio Piola), e ben 6 dei suoi 32 punti totali considerando anche lo 0-1 a San Siro un girone dopo. Una tendenza naturale che nasce come altruismo ma finisce spesso per sfociare in veri e propri martiri sportivi, a favore di squadre che forse, in determinati momenti, hanno più bisogno. E visto che di Internazionale si tratta pensate anche a…



…compagini come Lugano, Schalke 04 (non quello di oggi, ma quello emergente degli anni ’90), Helsingborg, Alaves, Villarreal, Tranzponspor: hanno scritto pagine importanti delle rispettive storie con l’appassionata collaborazione nerazzurra. Oppure la miriade di giocatori pescati dalle nazioni più lontane e diverse, che grazie all’Inter hanno avuto un momento (sempre ben pagato tra l’altro) di gloria, sventura o più semplicemente cronaca tutto per loro. Nell’ultimo pareggio di campionato si può leggere anche questo: l’avvicinamento ad un fratello in grave difficoltà tecnica e storica come il Parma; non un regalo perché il punto è stato più che meritato dalla formazione gialloblù, ma nemmeno un semplice inciampo sportivo. La Juventus, per cui vincere è da sempre l’unica cosa che conta, ha banchettato senza alcuna pietà in tempi meno sospetti, con l’umiliante 7-0 di novembre; il Milan ha sfruttato la gara interna col Parma per rialzarsi dopo cinque giornate senza vittoria, e concedere un cameo degno di Alfred Hitchcock a Cristian Zaccardo (autore del 3-1 finale). Là dove altri hanno infierito l’Inter non ha potuto più di un 1-1, a detta di qualcuno pure immeritato: incredibile sì, deludente certo, ma per certi remoti versi anche confortante. Forse i fondatori dell’Orologio ne sarebbero stati fieri: questa squadra è sempre lei, anche con organigramma indonesiano e maglietta imborghesita (che non significa brutta): condannata a vincere ma non ossessionata, gloriosa ma non impietosa. I 38 punti in 29 giornate si possono leggere anche così; altrimenti non ci resta che riempirci la bocca delle solite, legittime e sacrosante imprecazioni, ed alzare la voce sbattendo il pugno sul tavolo nelle discussioni da bar.

 

(Carlo Necchiha collaborato Saverio Necchi)