Terza stella o non terza stella: questo è il dilemma. La Juventus è campione d’Italia, e questo non può negarlo nessuno. Ora si apre il dibattito: quale numero assegnare al tricolore dei bianconeri? Il popolo juventino non ha dubbi: già ieri sul prato del Nereo Rocco spuntavano come cespugli scudetti di cartone numerati di 30. Ma per ora la Lega iscrive all’almanacco 28 titoli nazionali, alla voce Juventus: viene da chiedersi come si comporterà la società bianconera sul merchandising, dove i tifosi si aspettano la maglia corredata di tre stellette. Non solo: come si può leggere la vittoria dello scudetto in termini di guadagno? E quanto ci ha effettivamente perso il Milan? Per dare una risposta ilsussidiario.net ha intervistato in esclusiva Marcel Vupis, direttore del sito sporteconomy.it nonchè grande esperto delle problematiche di merchandising. Ecco le sue dichiarazioni:
Juve campione d’Italia: i tifosi vogliono la terza stella sulla maglia, ma ufficialmente gli scudetti sono ancora 28. Come si comporterà la società?
La metterà. Anche perchè girano rumors che ci sia già una maglia prodotta dalla Nike con queste caratteristiche. Tra l’altro c’è da dire un’altra cosa.
Quale?
Che al momento non c’è una norma specifica che regoli questa problematica. Penso per esempio alla Germania.
Cioè?
In Bundesliga anche chi ha cinque scudetti può mettere una stella: in linea generale ciascuno può interpretare questa situazione come meglio crede.
Come si potrà regolare la Juventus con la Lega?
Il problema non è tanto se uno mette o non mette la stella, ma quello che succede dopo sotto il profilo dell’almanacco.
In che senso?
Visto che i due scudetti incriminati sono stati tolti alla Juventus, e poi in parte assegnati all’Inter, bisognerà fare l’almanacco pro Inter e quello pro Juve: sarebbe veramente allucinante.
Cosa deve fare la Lega adesso?
Deve veramente entrare nel merito della questione e dire se realmente la Juventus ha la possibilità di riavere quei due scudetti, perchè se no stiamo creando un casus belli che diventa un’ulteriore figuraccia a livello di sistema per il calcio italiano. Poi c’è un’altra cosa che non capisco.
Quale?
Non è che ognuno può fare la storia calcistica a modo proprio. L’Inter non vuole fare passi indietro, però mi sembra assurdo che le decisioni sui titoli vengono prese in base al momento storico in cui avviene il fatto.
Cioe?
Arriva Guido Rossi ed è giusto che gli scudetti vengano assegnati all’Inter. Adesso la Juventus vince, e come fai a dirgli di non considerare i due scudetti tolti? La norma deve essere uguale per tutti.
La vittoria dello scudetto comporta dei premi ai giocatori: è possibile che la Juventus si sia assicurata sulla vittoria del titolo, per coprire tali spese?
Normalente si fa. E’ una polizza che ti copre da questi aspetti, perchè i top club, come il Milan l’anno scorso ad esempio, possono anche arrivare a spendere tra i 15 e i 25 milioni in premi scudetto. Ci sta che la Juventus si sia coperta in questo senso.
Proprio in questo senso, come può essere valutata la sconfitta del Milan?
C’è sicuramente un mancato guadagno in termini di merchandising. Però va specificata una cosa.
Quale?
Le logiche globali fanno sì che i ricavi maggiori siano più per il produttore tecnico. Per il Milan è l’Adidas, che è Master Licency, cioè coordina tutte le licenze commerciali del Milan, quindi non soltanto la produzione e la vendita delle maglie.
Nel caso della Juventus?
C’è uno Juventus merchandising che ha dentro una serie di manager della squadra, ma di fatto le logiche commerciali sono decise a monte dalla Nike.
Cosa si può concludere da questo?
Che per tutte le squadre italiane, nessuna esclusa, se parliamo di merchandising la fetta principale dei guadagni torna al produttore, non al club. Poi nel caso della Juventus si può fare un distinguo.
Cioè?
Ci sarà certamente un’impennata di vendite delle magliette juventine. Il merchandising italiano non è come quello inglese, in cui la maglia si compra in diversi momenti dell’anno.
Stando ai dati, da noi quando il tifoso compra la maglietta?
Quando viene lanciata sul mercato, o con l’abbinamento di un titolo, che può essere lo scudetto piuttosto che la Champions League.
Come si spiega questa tendenza?
Col fatto che siamo un paese basato sul mito della vittoria, più che sulla cultura dello sport. In Inghilterra indossare la maglia è un momento di cultura, di aggregazione, di socializzazione. In Italia dipende più dai risultati.
Un’ultima questione sul Napoli: quanto può pesare in termini di merchandising l’eventuale rinuncia alla Champions League?
Non in modo grave. I ricavi da merchandising non vengono mai resi noti dai club italiani.
Perchè?
Evidentemente non sono così strategici nel fatturato globale dei club. Al di là di chi vince o chi perde non impattano in modo così decisivo: i nostri club sono molto più legati alla torta dei ricavi televisivi.
Perciò il merchandising non è un fattore nell’economia delle squadre?
Diciamo che non ti cambia la vita vendere 100.000 o 120.000 maglie. Comincia a diventare un fattore se vendi, come ad esempio il Manchester United, quasi 3 milioni e mezzo di pezzi con il marchio della squadra.
Qual è la differenza con i club inglesi?
Le loro squadre investono molto nella internazionalizzazione del brand. Oggi in Italia gli unici club ad investire in questo sono Inter Milan e Juventus. Gli altri, a partire dal Napoli, sono in fascia secondaria.
Ma perchè siamo così indietro da questo punto di vista rispetto a loro?
Non è che i club inglesi sono più intelligenti: sono partiti prima e quindi hanno un vantaggio competitivo tempistico che impatta sulle statistiche finali.
(Carlo Necchi)