Scommettere è un reato? Non pare, neppure consultando le complicatissime e inintelleggibili leggi italiane. In Inghilterra, paese che non ha certo bisogno di imparare libertà e democrazia da altri, scommettere su tutto e su tutti è sempre stato lecito e quasi epico, in alcuni grandi club inglesi. Ci sarà pure qualcuno che ha letto “Il giro del mondo in 80 giorni”? Nasceva da una scommessa nel celebre Reform Club.
L’Italia è sempre stata più prudente: accettava e tollerava i “clanda”, (forza dell’ipocrisia) cioè i professionisti delle scommesse clandestine (clicca qui per l’intervista esclusiva a Giovanni Maggi), che erano ufficialmente proibite, e limitava il gioco d’azzardo ad alcuni book-makers ufficiali. Poi c’è stata la liberalizzazione e anche nel nostro Paese si è potuto scommettere.
Lo Stato italiano è stato comunque sempre un grande biscazziere, quello che teneva mazzo insomma, in questa attività di scommesse: dal lotto al totocalcio, al “gratta e vinci”, alle varie macchinette che oggi sono in giro per i bar e magari sono gestite da società che poi acquistano strane case a Montecarlo.
Solo quel “poveretto” di Giuseppe Garibaldi poteva immaginare, appena arrivato a Napoli dopo l’epopea dei “Mille”, di stilare una costituzione dove al primo articolo c’era l’abolizione del gioco del lotto.
In tutti i casi, oggi, scommetere è lecito. Il reato per un calciatore è se, scommettendo, truffa deliberatamente una partita a cui partecipa. Non risulta che Gianluigi Buffon abbia fatto questo. È o non è indagato?
Ma purtroppo Buffon, che è un signore che non ha peli sulla lingua, si è permesso di dire cose normalissime che, pensiamo, non abbiano digerito né il procuratore di Cremona (di cui continuiamo a non fare nome e cognome perché tra un po’ gli dedicheranno la copertina di Time, come uomo dell’anno), né il cosidetto establishment del beneamato “paese” di questi perbeninisti degni di miglior causa.
Che cosa ha detto Buffon? Che a Coverciano, prima del blitz che ha portato in galera 19 persone per il calcio-scommesse, era stata violata ogni regola procedurale; che i giornalisti c’erano già tutti a preparare la gogna per persone che devono essere ancora giudicate; che c’erano persino i fotografi e le sempiterne telecamere.
In più, in un gesto di sfida che gli rende onore, Buffon si è rivolto ai giornalisti accusandoli di sapere già tutto e di conoscere persino il contenuto degli interrogatori che dovrebbero essere consegnati al segreto istruttorio.
Buffon è un giocatore di calcio, grandissimo, che conosce le regole di uno Stato di diritto meglio di tanti altri laureati italiani. E subito è arrivata la risposta.
Prima si è affacciata sul Corriere della Sera, perché il più paludato dei commentaori di calcio, ha scritto: “Buffon dovrebbe seriamente capire che il peccato sta in chi lo commette, non in chi lo racconta”.
Difesa tipica della corporazione giornalistica. Il commentatore ha dimenticato di scrivere che il peccato, molto più grave, sta soprattutto in chi lo anticipa, giudicando spietatamente e senza tentennamenti, rispetto alle procedure (le procedure, ripetiamo per i sordi e i ciechi, che sono la garanzia dei processi penali) della giustizia di uno Stato di diritto, che dovrebbe rispettare la presunzione di innocenza.
È vero che da anni un avviso di garanzia, una carcerazione preventiva, un blitz a telecamere accese, in questo paese, sono già una condanna. Ma questo non fa parte dell’agognato “mondo della trasparenza”, ma fa parte della decadenza grave di uno stato di diritto, che sembra non esista più. Anche questo blitz cremonese, per come è stato presentato, fa parte di una cultura giustizialista che dilaga e ormai è diventata uno degli aspetti peggiori dell’anticultura civile (altro che antipolitica!) di questo Paese.
Dopo la strana difesa della corporazione giornalistica, è arrivata probabilmente la difesa dell’operato del procuratore di Cremona (di cui continuiamo a non pronunciare il nome e cognome). Nel giro di 24 ore, con un tempismo eccezionale, è arrivata una valanga di sospetti su Buffon perché scommettitore, anche se non risulta indagato per alcuna ipotesi di reato.