La Juventus è stata eliminata dalla Coppa Italia. Alla fine, a risultare fatale è stato non tanto il gol di Floccari in pieno recupero, dopo che Vidal due minuti prima aveva impattato la gara mandandola agli ipotetici supplementari, quanto la rete con cui Mauri, nella partita d’andata, aveva pareggiato il gol di Peluso. Intendiamoci: che la Juventus non vinca la Coppa Italia è ormai una realtà. Nemmeno negli anni d’oro di Lippi e Capello quella stella d’argento è mai arrivata; i bianconeri sono inchiodati a nove successi dal 1995, primo anno del viareggino in panchina. Di per sè, vedere sfumato il primo obiettivo stagionale (il meno importante, pur se contava) non è un dramma in termini assoluti; la squadra è ancora in testa in campionato, e c’è una Champions League da giocare con ottime possibilità di fare strada finchè sorteggio e campo non diranno il contrario. Eppure, c’è come un senso di rabbia repressa e frustrazione che arriva dalla sconfitta di ieri sera; e non è, ripeto, quel colpo di testa di Floccari che ha cancellato la possibilità di giocarsi trenta minuti addizionali. No; il problema, semmai, è che questa eliminazione arriva a seguito di due partite in cui la Lazio ha tirato in porta praticamente tante volte quante le reti che ha segnato, e che la Juventus invece ha dominato (e ci mettiamo anche l’incontro di campionato) riuscendo a bucare Marchetti in appena due occasioni. Siamo sempre lì: il top player, il bomber e tutto il resto. Discorsi già sentiti, direte; vero, però ieri pomeriggio è successo che il Milan ha comprato Mario Balotelli. Che avrà tutti i problemi caratteriali di sorta e si trascinerà dubbi grandi quanto una casa, ma resta pur sempre un giocatore fortissimo, forse addirittura pagato meno rispetto a quello che è il suo potenziale sul campo. Pare quasi impietoso, questa mattina, pensare ai gol che si è divorato Giovinco (quello in pieno recupero è sinceramente inammissibile a questi livelli) sul campo di Roma quando i rossoneri si portano in casa l’attaccante della Nazionale; ma c’è anche di più. Perchè per due anni, quelli dei settimi posti e delle figuracce su campi di provincia, si è detto che la Juventus doveva tornare grande per attirare i grandi; per due anni i tifosi hanno sognato i top player, i calciatori in grado di fare la differenza, i campioni, vedendoli andare regolarmente in altre squadre. Si pensava: pazienza, arriverà il nostro momento. Poi il nostro momento è arrivato, ma l’attaccante no. Inciso: Marotta ha lavorato benissimo in questo periodo. Ha comprato Vidal a prezzo di saldo, ha investito e creduto in Bonucci che si è rivelato un signor difensore, ha preso Vucinic, ha riportato in Italia Barzagli per un rimborso spese. Chapeau, e lungi da queste righe accusare l’operato dell’amministratore delegato. Però un po’ ci si sente incompiuti nel continuare a parlare del bomber e vedersi arrivare in casa Nicolas Anelka; che, con tutto il rispetto che si può avere per questo giocatore che certamente è stato un ottimo attaccante, non è uomo sul quale si possa costruire il futuro, non ha i 25-30 gol nei piedi e soprattutto non ha i crismi del campione. Il senso di sproporzione si acuisce nel pensare questo: delle due squadre, quella forte e con l’immagine solida di un dominio potenziale è la Juventus, non il Milan. La squadra in difficoltà estiva che non sapeva se confermare o meno l’allenatore era il Milan, non la Juventus. Da qui una considerazione: vero che sono gli altri quelli che si devono attrezzare per arrivare a livello dei bianconeri e che quindi certe spese folli non sono necessarie; vero che c’è qualcuno che sostiene che l’acquisto rossonero di Super Mario sia l’ennesimo colpo da campagna elettorale di Berlusconi; ma è sacrosanto anche che, secondo logica, forse i bianconeri avrebbero fatto bene a investire davvero quei 20 milioni (un prezzo non certo proibitivo) per Balotelli. O per Suarez. O per Jovetic, che forse con qualche sforzo in più la Fiorentina avrebbe lasciato andare. Anche per una questione di immagine:
Comprare i campioni sul mercato – certamente sempre con due occhi e anche di più sulla funzionalità tecnico/tattica – è indice di chi dice: “Sono il più forte, e mi prendo i più forti”. Non alla Real Madrid dei Galacticos, ammassando figurine; ma comprando i migliori là dove serve. Stesso discorso per la difesa: con Chiellini infortunato a lungo, forse si poteva trovare di meglio che non il pur bravo e volenteroso Peluso. Un indizio? La Juventus ha subito due gol dalla Sampdoria, uno a Parma, uno contro il Genoa e uno a Roma dalla stessa parte: quella sinistra difensiva. Messa così sembra anche fuori luogo assistere a scenate alla Marassi o all’ironia malcelata di Antonio Conte ieri sera. Se anche è vero che i rigori a favore c’erano (uno anche ieri sera), è altrettanto vero che una squadra come la Juventus non può permettersi di ragionare come chi, dovendosi salvare, sa che essendo inferiore non può prescindere da episodi esterni al proprio volere. La squadra di Conte no: ha tutte le armi per subire tre torti a partita e segnare comunque tre gol. Lo stesso salentino lo sa, e siamo sicuri che al riparo dallo sguardo delle telecamere si sarà fatto sentire con i suoi. Perchè c’è stato un tempo in cui la Juventus perdeva a Lecce e il giorno dell’allenamento Luciano Moggi si presentava al campo, leggeva la formazione giallorossa alla squadra radunata in cerchio, chiudeva il giornale e se ne andava; e i giocatori, umiliati dal sentire la differenza di nomi e blasone, sputavano sangue per vincere la partita successiva. Lo stile Juventus era questo: bocche chiuse, parlava il campo. Questa Juventus è forte, forse anche fortissima; ha Pirlo, ha Marchisio, ha Buffon. Ha lo scudetto sul petto, che è la cosa che di più conta; e sono ancora le altre che devono inseguire. Per cui i casi sono due: o Marotta ha già in mano l’attaccante per giugno (in aggiunta a Llorente, che sembra comunque non avere i crismi del top player) oppure non ci si capacita di come Mario Balotelli non sia arrivato a Vinovo, o del perchè Luis Suarez che tutti dicono non sia più sopportato in Inghilterra sia ancora in riva alla Mersey. La speranza, ovviamente, è che Anelka ci smentisca alla prima occasione; magari già domenica a Verona. In caso contrario, sarà ancora una lunga, lunghissima estate. Questa volta, si spera, chiusa dall’arrivo del bomber.
(Claudio Franceschini)