Qualche tempo fa scrivevamo su queste pagine che il momento di Fernando Llorente sarebbe arrivato, in un modo o nell’altro. Ci ritroviamo a scrivere, oggi, che il momento dello spagnolo è effettivamente arrivato. Aveva ragione Antonio Conte: diceva che il suo numero 14 avesse bisogno di tempo, che era arrivato da un anno di semi-inattività, che doveva cercare e trovare la forma fisica giusta. Vista lunga o semplice azzardo? Chi lavora quotidianamente con i giocatori è lui, perciò propendiamo per la prima ipotesi. Aveva ragione, il salentino: quattro gol stagionali, tre dei quali pesanti, forse pesantissimi. Il primo al Verona, decisivo per il 2-1 sugli scaligeri; il secondo al Real Madrid, utile per il 2-2 finale quando la squadra rischiava di crollare; il terzo al Napoli, dopo un minuto e mezzo, aprendo nel migliore dei modi il big match di campionato. In mezzo, il primo sigillo contro le Merengues, che in quel momento della partita valeva il pareggio. Strano mestiere, quello dello sportivo: ti osannano e celebrano un giorno, ti gettano nel fango della critica le 24 ore seguenti. Llorente lo sapeva, e lo sapeva anche Conte: hanno aspettato insieme, e per ora l’hanno vinta loro. Alzi la mano chi, tifoso della Juventus o meno, non ha pensato, nei primi mesi della stagione, al terzo enigmatico caso dell’attacco bianconero: Carlos Tevez che segnava a raffica, Mirko Vucinic insostituibile, Fernando Llorente immusonito in panchina, con pettorina che non si toglieva mai. I ricorsi e i precedenti si sono sprecati: la storia recente bianconera parla di un Nicklas Bendtner e un Nicolas Anelka arrivati a Vinovo come ancore di salvataggio e ripartiti senza aver lasciato nulla, se non un mormorio interrogativo, qualcosa come “ma perchè?”. Ecco: in molti devono aver pensato che con Llorente sarebbe successo lo stesso. In questi casi si dice che la verità sta nel mezzo: il solito ritornello, “non era scarso prima e non è un fenomeno adesso”. La tentazione di dirlo c’è, ma la verità è altra: ovvero, che Llorente è un ottimo attaccante, ma soprattutto è totalmente funzionale al gioco della Juventus, perchè fa le sponde come nessuno, mette il suo corpo in area, ha il fiuto del gol. Gli serviva solo un po’ di fiducia: quella che, per esempio, quest’anno hanno avuto nell’Inter Jonathan e Ricky Alvarez, pochi mesi fa simbolo di tutti i mali nerazzurri e oggi – in particolare l’argentino – icone più fulgide della rinascita. Cosa ci insegna la storia di Llorente, e con essa quella dei due calciatori dell’Inter, e quella di tanti altri? Una semplice cosa: che il contesto è fondamentale, che la fiducia è tutto, e che spesso e volentieri i giudizi sono troppo affrettati. Chi scrive, per esempio, resta convinto che il Diego visto a Torino nel grigissimo 2009-2010 avrebbe avuto ben altro rendimento nel 2011-2012 in technicolor; e che il rendimento di Wesley Sneijder con e senza José Mourinho sia stato troppo diverso per non destare sospetti. Così come, del resto, quello di Kakà a Madrid. Per non commettere gli stessi errori di giudizio, vale la pena aggiungere che la stagione è appena iniziata, e Llorente ha ancora tante partite per dimostrare davvero quanto valga. Tuttavia, qualcosa l’ha già fatto capire: aveva ragione Antonio Conte.



(Claudio Franceschini)

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