“Si deve crescere, non bisogna vincere sempre. Prendete l’Inter che ha fatto il Triplete: era all’apice, ma non ha costruito niente e quest’anno ha fatto male”. Le parole sono di Antonio Conte, a margine della visita che la Juventus ha fatto a Papa Francesco. E sono parole che aprono l’annosa questione, che soprattutto in Italia è di moda ultimamente: quanto conviene accantonare le vittorie per costruire un progetto che duri nel tempo? Se lo chiedete all’estero, vi risponderanno che la questione non si pone. L’Arsenal non vince niente da otto anni, eppure Arsene Wenger è ancora al timone della squadra (17 stagioni quest’anno) e nel corso del suo regno a Londra ha fatto crescere e lanciato nel grande calcio una serie di calciatori che sono poi diventati tra i migliori al mondo. Il Manchester United sta ormai diventando fuori moda citarlo dalle volte in cui è stato preso a esempio, ma si potrebbe anche tirare in ballo il Borussia Dortmund: arrivati sull’orlo del fallimento, i gialloneri hanno saputo ricostruire partendo dai giovani, che oggi si giocano una finale di Champions League e sul mercato valgono non meno di 30 milioni di euro. Certo: si potrebbe dire che si è trattato di una necessità. Come successo alla Juventus del 2006: costretta alla serie B da una sentenza di tribunale, la società di Torino ha puntato sui giovani, e si deve a quel campionato in cadetteria se gente come Marchisio e Chiellini (ma anche De Ceglie) adesso è parte integrante della squadra che domina in Italia da due stagioni. Saper costruire è un’arte, ma il discorso di Conte non è completo; perchè, sempre prendendo in esame l’Arsenal, forse i conti quadrano e i talenti crescono, ma sulle tribune dell’Etihad Stadium non devono essere contentissimi di vedere sempre gli altri festeggiare. E l’Inter del Triplete? Certo che costruì: lo fece negli anni precedenti, quando andrò a comprare i Maicon e i Milito, i Thiago Motta e i Lucio, e con loro mise in piedi lo squadrone di Mourinho. Dove sbagliarono, i nerazzurri del 2010? Sbagliarono in buona fede: Moratti si convinse che si doveva un debito di riconoscenza verso un gruppo che non poteva più avere la stessa fame. Non capì, il presidente, che era quello il momento giusto di investire per rinforzare la rosa, quando le big d’Europa facevano la fila fuori da Appiano Gentile; allora si sarebbe potuto sostituire Maicon, si sarebbe potuta trovare un’alternativa a Milito, si sarebbe potuto lasciar partire Sneijder in cambio di qualche talento emergente. Non è stato fatto: in questo senso l’Inter non ha saputo costruire, o meglio non ha saputo rimanere al vertice attraverso operazioni di mercato oculate, che passassero attraverso i sacrifici. E’ lo stesso errore che ha fatto il Barcellona, che ha continuato a spremere all’inverosimile i suoi titolari non sostituendoli degnamente e in modo graduale. In Italia, l’abbiamo detto, è difficile: non c’è il tempo materiale perchè le piazze sono esigenti, i presidenti si fanno prendere la mano, la stampa è crudele (sì, va ammesso). Ecco perchè la Roma sa che la crescita di Marquinhos e Lamela è un gran colpo in prospettiva ma il prossimo anno bisogna fare i risultati; ecco perchè il progetto giovane di Stramaccioni, che sembrava di gran moda e fascino, è già stato accantonato in luogo di un Mazzarri che in quattro anni di Napoli i giovani li ha visti poco o nulla. Ed ecco quello che deve fare la Juventus, che è al vertice, ha la squadra più forte e può permettersi di imbastire certe operazioni: cercare di non snaturare un gruppo che nella sua ossatura può durare ancora a lungo, e inserire giocatori giovani ma già potenzialmente affermati, oppure nuove leve da svezzare in un ambiente che non sia troppo esigente. Pensate che Paul Pogba avrebbe avuto lo stesso impatto nella Juventus di Delneri o Zaccheroni? Rispondiamo noi per voi: 



No, anzi probabilmente non avrebbe nemmeno giocato. I bianconeri sono ad un bivio: sanno che possono costruire una squadra vincente, ma sanno anche che per farlo non si può prescindere dal sacrificio di qualche pezzo pregiato. Antonio Conte ha avuto un maestro in questo: Luciano Moggi, ai di là del suo coinvolgimento in Calciopoli, era un signor dirigente perchè sapeva esattamente quando vendere. Nell’estate del 2001 annunciò la cessione di Zinedine Zidane e con quei soldi comprò Thuram e Nedved. Più Buffon. E poi ancora: fuori un Christian Vieri in ascesa, dentro un Pippo Inzaghi neo-capocannoniere della serie A, e altro ancora per tenere sempre alto il livello della squadra, senza però essere “ostaggio” di calciatori che avevano fatto il loro corso. Insomma: più che saper costruire, è importante saper continuare a rimanere al vertice. Accettando che ci possa essere qualche stagione di transizione senza farne un dramma, e che siccome nello sport sono contemplati gli avversari qualche volta si possa anche essere battuti. La strada della Juventus è questa: non è necessario smantellare la squadra perchè si sono prese quattro sberle dal Bayern Monaco. Lo insegnano i bavaresi: hanno perso due finali di Champions League in tre anni, ma sono rimasti con lo stesso gruppo nonostante le batoste subite dal Borussia Dortmund in campionato; hanno gradualmente inserito qualche rinforzo (Neuer, Mandzukic, Alaba, Javi Martinez), fatto crescere i giovani, e voilà, oggi i più forti sono loro. Hanno speso tanto? Sì, ma non a caso: questo è il punto. Segua l’esempio, caro Marotta: in passato, la Juventus ha pagato 12 milioni di euro un certo Jorge Martinez, che oggi in tanti faticano a ricordare dove giochi. Il perfetto esempio di come si possa spendere in un modo piuttosto che in un altro.



 

(Claudio Franceschini)

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