Quando al 76′ minuto di Copenaghen-Juventus Sebastian Giovinco ha smesso la pettorina del riscaldamento e si è avvicinato al quarto uomo per la sostituzione, prendendo il posto di Fabio Quagliarella, milioni di juventini collegati via cavo con il campo della capitale danese – e i presenti allo stadio – devono aver pensato la stessa cosa: “ma come, non gioca Llorente?”. Era quello il terzo cambio di Antonio Conte, che tre minuti prima – con mossa ancora più incomprensibile – aveva scelto di schierare Paolo De Ceglie in luogo di Federico Peluso. Un De Ceglie che, sia detto giusto come storia parallela, nel momento di maggior forcing bianconero si è trovato un pallone ai 20 metri senza la minima pressione avversaria e, potendo fare tutto, ha scelto un retropassaggio nella sua metacampo. Questa però non è la vicenda dell’esterno che forse a gennaio andrà in Premier League, quanto la narrazione di un calciatore che, non sarebbe il primo, rischia seriamente di essere già finito nel gorgo dei dimenticati del salentino. Pensiero generale ieri sera intorno alle 22:16 (il fuso orario scandinavo combacia): “Come mai non viene messo in campo una prima punta alta e forte nel gioco di testa, quando una minima spizzata o una deviazione sotto rete può risolvere una pratica dannatamente complicata?”. Risposta del giorno dopo con la mente lucida, libera dalle rabbie notturne e capace di analizzare razionalmente: già, perchè? Rimane il grande mistero del passo falso juventino. Diciamolo subito, a scanso di equivoci e per evitare che si aprano processi inutili e fuorvianti: la Juventus non ha pareggiato sul campo del Copenaghen perchè Conte non ha messo Fernando Llorente. Le cause sono da trovarsi nel portiere Wiland, che probabilmente ha stretto un patto con la strega del mare Ursula (alla sirenetta, oggi simbolo della città, aveva dato le gambe, allo svedesone l’imbattibilità per una notte), e nella scarsa mira bianconera, perchè d’accordo i miracoli ma se da due centimetri gli tiri addosso forse ci metti anche del tuo. La questione, tuttavia, rimane: perchè Llorente non ha giocato? Antonio Conte lo ha spiegato nel post partita: “Sarei stato stupido a mettere in campo un giocatore alto e statico in mezzo a una difesa di centrali forti di testa”. Ci sta: tecnicamente, è una buona trovata. Che sia anche il vero pensiero di Conte, e non uno schermo protettivo, è dimostrato dal fatto che per 90 minuti o giù di lì la squadra è arrivata ai 16 metri, e anche ai 10, con estrema facilità, per poi schiantarsi di fronte a un muro di acciaio inossidabile. Con la barba. Non è che siano mancate le occasioni: è mancata la palla in porta. E però, nella verità di Conte c’è una mezza cosa che non è stata detta, e che risulta evidente se si va a studiare la storia recente di Vinovo: il salentino non ama le prime punte. Bendtner e Anelka sono due indizi; si dice che per fare una prova ne servano tre, il terzo è servito sul piatto ed è il Llorente protagonista di questa storia. Lo schema classico della Juventus lo abbiamo più volte visto contro l’Inter, e anche ieri sera: palla in verticale di Pirlo o di un difensore (o di un esterno), l’attaccante A sale e tocca per l’attaccante B per poi lanciarsi nello spazio e ricevere la chiusura del triangolo, oppure fa velo (finale allo stesso modo), oppure gioca di sponda liberando lo spazio nel quale si infila l’attaccante B che riceve in profondità,. Semplice: la prima punta, in questo schema, non c’è. Infatti, nove volte su dieci il relativo cross – dove ci sia – è raccolto da Vidal, o Marchisio, o Pogba, che a turno si inseriscono. Non basta l’indizio Llorente? Eccone un altro: non può essere un caso che per due stagioni in fila (e questa è iniziata allo stesso modo) i centrocampisti segnino più delle punte. Va bene che non c’è mai stato il cannoniere del decennio in rosa, ma il punto è chiaro: le situazioni di gioco che preferisce Conte sono queste, ed è una cosa che si diceva anche lo scorso anno, quando si gridava allo scandalo di un bomber di razza che avrebbe distrutto il Bayern Monaco se solo ci fosse stato, come se Leo Messi ne avesse segnati otto ai bavaresi e il Barcellona fosse stato eliminato con una monetina. Lo stesso Tevez, pur avendo nel sangue di Fuerte Apache più senso del gol dei Matri e dei Quagliarella, rimane un attaccante che fa movimento, ruggisce sulla trequarti, apre spazi e solo dopo, casomai, si butta dentro. In un contesto simile, anche e soprattutto ieri sera, Conte deve aver ragionato sul regalo che avrebbe fatto a una difesa stanca e alle corde se avesse regalato un uomo d’area di rigore che avrebbe offerto poche soluzioni per muovere la retroguardia danese. Ora, corollario: questo non significa che Llorente abbia i mesi contati a Vinovo, che Conte gli abbia già detto che vada come vada non gli concederà che stanchi e fumosi camei in pellicole minori (una manciata di minuti sul 3-0, fuor di metafora) o che Marotta stia già calcolando la plusvalenza. Significa semplicemente che sta accadendo quello che pochi avevano capito e tanti speravano non accadesse: Llorente non è stato acquistato per fare il titolare, nè Conte ha mai lasciato intuire che sarebbe stato così. Semmai, è una riserva di lusso che offre alternative sul piano tattico, per l’appunto. La prima doppietta di peso, logicamente, ce lo dimostrerà.
(Claudio Franceschini)