Quando Andrea Pirlo, al minuto 92 e 54 secondi, ha infilato il pallone della vittoria del derby nella porta di Gillet, Massimiliano Allegri si è diretto negli spogliatoi con un sorrisetto stampato in faccia. Aveva appena battuto il Torino all’ultimo respiro, guadagnato tre punti e allungato – momentaneamente – in classifica. Certamente si sarà ricordato delle parole che lui stesso aveva pronunciato solo poche settimane fa: “Certe partite, se non riesci a vincerle, è meglio provare a pareggiarle che rischiare di perderle”. Quasi uno  scioglilingua, che però ieri non ha avuto riscontro sul campo visto che la Juventus pur di prendersi i tre punti ha aperto la strada ad almeno due o tre ripartenze granata che potevano fare malissimo. Ma c’è dell’altro. Il sorriso di Allegri – piace pensarlo – era rivolto anche a tutti coloro (e sono tanti, chi scrive si mette in prima fila) che all’epoca del suo insediamento a Vinovo, 16 luglio 2014, si erano silenziosamente o meno fatti una domanda: “E ora Pirlo?”. Storia nota, che risale all’estate 2011. Massimiliano Allegri ha appena vinto lo scudetto con il Milan (al suo primo anno), ma Pirlo da Brescia ha giocato poco: appena 17 partite (con un gol). L’infortunio di inizio stagione ha modificato la squadra: dentro un mediano muscolare come Mark Van Bommel, non c’è spazio per fantasia e disegni architettonici. Il Milan vince e convince, tra Allegri e Pirlo vince il toscano: in scadenza di contratto il centrocampista lascia dopo dieci anni. Si accasa alla Juventus, al primo anno salta una sola partita (per squalifica), segna 3 gol e smazza decine di assist. E’ scudetto, bissato nelle due stagioni successive con numeri da sballo: 32 partite e 5 gol, 30 partite e 4 gol. Poi Antonio Conte se ne va, scioccando la Juventus e tutta l’Italia; già in serata il nome di Allegri circolava sul web, diventando effettivo ed ufficiale la mattina seguente. Il pensiero di tutti era andato all’antica “faida” di memoria rossonera; tanto che le prime domande al nuovo tecnico del corso juventino contenevano il nome Pirlo e un rapporto da ricucire. Allegri aveva minimizzato, parlando di affare gonfiato dalla stampa e professionismo, aggiungendo che le qualità del regista bresciano non doveva certo scoprirle lui. Già, ma restava la prova del campo e soprattutto le parole del secondo diretto interessato, che all’epoca non aveva fatto mistero di esserci rimasto male. Dubbi e incertezze si sono rincorsi per tutta la prima parte di stagione: Pirlo gioca e non gioca, poi si infortuna, Marchisio da playmaker rende al massimo, ecco che ci risiamo. Come al Milan, quattro anni dopo. E invece no: perchè Pirlo rientra e gioca, Pirlo segna (Empoli e Olympiacos), e poi in un pomeriggio piovoso di fine novembre Pirlo, stavolta non di pennellata morbida e delicata ma con la potenza di uno sfondareti, decide il derby a sei secondi dal triplice fischio. Scacco matto ai detrattori? Per ora, sembra proprio di sì. 



(Claudio Franceschini)

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