La Juventus non giocherà la finale casalinga di Europa League. Ormai lo sappiamo: lo 0-0 dello Stadium contro il Benfica è costato l’eliminazione, mentre le Super Aquile festeggiano la seconda finale consecutiva, sperando adesso di spezzare la maledizione di Bela Guttmann nell’anno in cui Eusebio si è riunito con il suo vecchio maestro. I bianconeri salutano delusi: nelle 24 partite casalinghe giocate in stagione avevano segnato 56 gol, ma soprattutto non avevano mai chiuso una gara nel loro tempio senza timbrare il cartellino. E’ successo ieri sera: quando ne bastava uno solo, quando contava di più. L’amarezza è tanta: adesso, la sensazione è che nemmeno il pensiero dello scudetto in arrivo lunedi (salvo imprevisti) riesca a tirare su gli animi di squadra e tifosi. Per due motivi: perchè l’Europa League era davvero alla portata, e perchè a dirla tutta la Juventus ha sì messo in campo tutto quello che aveva, ma nei 180 minuti è mancato qualcosa. E’ una sorta di maledizione: ogni volta che i bianconeri hanno avuto a disposizione una partita casalinga per ribaltare il risultato e superare il turno europeo non ha segnato. E’ successo nel 2005: quarti di Champions League, 1-2 ad Anfield Road contro il Liverpool e 0-0 a Torino. E’ successo nel 2006: 0-2 in casa dell’Arsenal, 0-0 al Delle Alpi. E ancora: lo scorso anno, 0-2 in Baviera e stesso risultato casalingo contro il Bayern Monaco. L’unica eccezione nel 2009, quando la Juventus era andata vicina a ribaltare lo 0-1 di Stamford Bridge contro il Chelsea; ma era finita 2-2, e Claudio Ranieri e i suoi erano stato comunque eliminati. Ieri sera la storia si è ripetuta; certo di quelle squadre di Fabio Capello gli unici superstiti sono Buffon e Chiellini, dunque risulta difficile accomunare le esperienze. E’ pure vero tuttavia che due indizi fanno sempre una prova, e che in generale la Juventus dell’ultimo decennio abbia raramente fatto la differenza in Europa (quando ci è stata). Tralasciando il passato e concentrandosi sulla squadra di Antonio Conte, viene da chiedersi cosa abbia sbagliato il tecnico salentino ieri sera. Intanto le dichiarazioni post-partita: vero che l’arbitro inglese Clattenburg avrebbe dovuto usare più polso nell’impedire ai portoghesi di perdere tempo, ma il recupero è stato ampiamente corposo. Vero che il rigore ci poteva stare (mano di Markovic su zuccata di Llorente), ma era difficile da vedere e non può essere l’alibi per lo 0-0. Casomai il tecnico salentino dovrebbe concentrarsi su un paio di aspetti interni. Intanto, il modulo: se in Europa giocano tutti con la difesa a quattro un motivo ci sarà. Ha ragione Conte nel dire che l’atteggiamento è quello che conta; 



Certo. Però, dieci giocatori con il sangue agli occhi posizionati nella trequarti offensiva prenderebbero gol a ogni palla persa. Il 3-5-2 in ambito internazionale non paga dividendi, o non li paga fino in fondo: a questi livelli bisogna saper allargare il campo con costanza, avere esterni offensivi che aggrediscono l’area rientrando, non solo esterni che raggiungono il fondo e crossano. Ieri sera il Benfica ha avuto vita facile nello spezzare le solite trame strette e centrali tra Tevez e Llorente (non a caso inoffensivo), e la Juventus altri sbocchi non li aveva se non in Asamoah e Lichtsteiner che però dovevano anche preoccuparsi a turno di non lasciare il fianco troppo scoperto. E poi la seconda questione: Paul Pogba. Che è un talento straordinario e con tanti margini di crescita, ma deve capire che certe partite vanno giocate con il coltello tra i denti e non affidandosi (solo) al tocco fatato e superiore. Ieri forse sarebbe maggiormente servito Marchisio, che non a caso ha portato maggiore intensità e idee una volta in campo. Se sarà confermato, un grande motivatore come Conte dovrà dirgli qualche parolina. 



(Claudio Franceschini)

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