La Juventus ha vinto il quarto scudetto consecutivo. Battendo 1-0 la Sampdoria a Marassi, la Vecchia Signora si è assicurata il tricolore con quattro giornate di anticipo come mai le era successo nella sua storia. Netto il divario rispetto alle avversarie: quest’anno un duello vero e proprio non c’è mai stato, la Roma ha provato a tenere il passo della Juventus ma con l’arrivo di gennaio si è inesorabilmente staccata, lasciando invece campo alla Lazio che però, nel momento in cui si è ritrovata seconda, aveva già 12 punti di ritardo. Andiamo allora a esaminare più nel profondo quali sono stati i grandi meriti della squadra bianconera: ecco le pagelle della Juventus campione d’Italia 2014-2015.
Per diciotto volte ha mantenuto inviolata la propria porta. Chi diceva che ormai non avesse nulla da esprimere si è ricreduto, o deve farlo: rispetto a un paio di stagioni fa è riuscito a fare un salto di qualità pazzesco, e ancora una volta è risultato decisivo nella conquista dello scudetto. A 37 anni compiuti vola come un ragazzino e non ha intenzione di smettere: la Juventus ha preso Neto, ma lui reclama la titolarità. Se continua così, chi gliela può togliere? (31 presenze, 17 gol subiti)
Un paradosso: quello di terzino è il suo ruolo naturale, ma riportato nella sua posizione originaria ha faticato. Certo è stato spremuto tanto, ma soprattutto nell’ultima parte di stagione ha dato la sensazione di dover rifiatare un po’ e di aver perso smalto. Resta importante per corsa e dinamismo, così come per “cattiveria” agonistica; migliorasse le abilità nei cross… (30 presenze, 3 gol)
La stagione della maturazione, senza ombra di dubbio. Ancora leggermente meglio con la difesa a 3, ma anche con il cambio di modulo è rimasto il leader tecnico e carismatico di un reparto che è il vero segreto della squadra. Il passato da centrocampista gli serve per le uscite a testa alta, il senso della posizione gli è rimasto dai tempi di Bari; ogni tanto commette qualche errore per la voglia di strafare, ma in compenso ha messo dentro anche gol pesanti. Quello contro la Roma, psicologicamente, vale mezzo scudetto. (31 presenze, 3 gol)
Gli anni (anagrafici) e le stagioni a tirare la carretta si sentono eccome. Un passo indietro rispetto a certi campionati perfetti e impressionanti per forza fisica e duelli con gli avversari; meno sicuro di allora e più incline all’errore, ma sempre grintoso e carismatico. Lo zero alla voce gol segnati rende forse l’idea di quanto si sia dovuto gestire, senza cercare troppe scorribande offensive; resta però imprescindibile per questa squadra. (28 presenze)
Il suo rientro è stato il vero colpo del calciomercato di gennaio. Difesa a 3 o a 4, per lui non fa differenza: sette partite di campionato – più quelle in Champions League – ci hanno fatto capire una volta di più che, al di là dei grandi nomi, Barzagli è stato un affarone quando nel gennaio 2010 tornò in Italia per mezzo milione di euro. Granitico, roccioso, sempre calmo e mai in affanno: tecnicamente impeccabile, con lui in campo la difesa è una certezza. Va gestito e non può giocarle tutte ma averlo, uno così… (7 presenze)
Ha iniziato in sordina, aprendo qualche dubbio sull’operazione estiva; ma con il tempo è cresciuto e, pur senza strafare, è diventato una pedina utilissima per lo scacchiere tattico della Juventus. L’esperienza gli ha permesso di gestirsi; non sarà più il giocatore esplosivo e che raggiungeva il fondo a ogni azione, quello del Manchester United per intenderci, ma raramente ha dato l’impressione di non essere in partita o di fare fatica. (20 presenze, 1 gol)
E’ il simbolo di questa Juventus: un gregario capace di giocare dappertutto, sempre pronto e disponibile al di là di quanta panchina faccia. Sa di non essere un fenomeno e questa è la sua forza: terzino destro e sinistro, esterno di centrocampo, mezzala, anche regista: almeno sei ruoli con una tranquillità pazzesca. Gli altri facevano i gol e le giocate decisive, lui era quello che svolgeva il compito con grande dedizione. Lippi ha vinto una Champions League con giocatori come lui: lo farà anche Allegri? (21 presenze)
Diciamolo pure: non è stato lo stesso Vidal dei tre anni precedenti. I dubbi sulla cessione, il ginocchio malandato, un Mondiale giocato sulle punte e poi pesato: tutto ha contribuito al suo calo, tanto che nella prima parte di stagione c’era chi ne rimpiangeva la mancata partenza (con tanto di milioni in cassa). Poi è rinato: pur senza toccare i picchi cui ci ha abituati, è tornato scintillante e grintoso, e importante per la Juventus. Che abbia firmato il rigore contro il Monaco e, soprattutto, il gol scudetto, è una sorta di riscatto personale e non solo; e la stagione non è finita… (28 presenze, 7 gol)
Decisivo al pari di altri. Ha spazzato via tutti i dubbi circa la convivenza con Allegri: da regista, e non da mezzala come nell’anno al Milan, ha giocato una stagione di alto livello. Spiccano soprattutto i gol: quello al Torino, nella partita di andata, è rimasto il simbolo del rapporto ritrovato tra allenatore e giocatore e la firma d’autore del bresciano sullo scudetto. Dalle 37 partite del primo anno alla Juventus alle 18 (finora) di oggi: ha avuto qualche problema fisico in più, ma alla fine lo scudetto è passato ancora dai suoi piedi. (18 presenze, 4 gol)
Non ha segnato 9 gol come un tempo; meno prezioso in zona gol, questa però è la stagione della maturità tattica. Stante l’infortunio di Pirlo, Allegri lo ha spesso e volentieri utilizzato da regista; e lui ha dimostrato grande piede (e si sapeva) e visione di gioco, facendo capire a tutti che un domani la soluzione potrebbe diventare definitiva. Al di là del giallo sulla presunta rottura del crociato (forse non sapremo mai davvero com’è andata) una stagione fantastica che merita un voto altissimo, e chissà che non si possa alzare ancora dopo il 7 giugno. (31 presenze, 2 gol)
Finchè c’è stato, un fenomeno. Una crescita esponenziale clamorosa: dalla scorsa estate, quando già si parlava di cifre record per la sua eventuale cessione, Pogba è migliorato ancora. Forza fisica devastante, tecnica da numero 10 vecchio stampo, decisività sotto rete. Contro il Sassuolo ha timbrato il gol della fuga giusta e definitiva; contro il Napoli ha messo dentro la rete più bella, alla Lazio la doppietta. Fuori da metà marzo, Allegri spera di ritrovarlo almeno per il ritorno della semifinale di Champions; vero che la Juventus se la cava anche senza, ma averlo in campo è sempre meglio. (22 presenze, 7 gol)
La sorpresa più grande: lo ha detto Chiellini a nome di tutti. Ennesimo gioiellino scoperto dall’Udinese, è arrivato alla Juventus in punta di piedi; si pensava a tanta panchina, qualche comparsata e una crescita graduale. Nel giro di poco tempo è diventato un jolly preziosissimo, dotato di grande dinamismo e senso tattico, capace di spaccare le difese in progressione, farsi trovare pronto in zona gol e difendere. Spesso e volentieri trequartista, anche da mezzala ha offerto prove di spessore; è il futuro della Juventus, se mai venisse in mente di vendere i pezzi pregiati le spalle sarebbero ben coperte. (31 presenze, 2 gol)
Cosa gli manca ancora? Il titolo di capocannoniere, e il superamento del record di gol per singolo campionato (23): ne ha 20, e mancano quattro giornate. Stagione straordinaria per l’Apache: se era stato decisivo un anno fa, oggi lo è stato ancora di più. Ha segnato anche di testa tanta è stata la sua onnipotenza; fosse solo per i gol sarebbe già fantastico, ma è anche il primo difensore della squadra e con la Juventus avanti di tre gol lo trovi al 90’ a pressare nella sua trequarti. Sintomo di una dedizione e una professionalità straordinarie. Può condurre la Juventus a vincere la Champions League? Chissà (31 presenze, 20 gol)
Intendiamoci: deve crescere, e non poco. Vive giornate in cui appare fuori partita, oppure si intestardisce in giocate personali. Ma è già fortissimo: palla al piede ha una progressione seconda forse a nessuno, con Tevez si intende a meraviglia e i gol li fa, anche pesanti come ha dimostrato a Palermo o in Champions League. In estate il suo arrivo passato attraverso il sacrificio di Immobile (e, parzialmente, Zaza) sembrava più di un azzardo; oggi Marotta e Paratici se la ridono, un’altra volta. (27 presenze, 7 gol)
Ha faticato, ma ha lasciato la sua firma. Molto meglio con Conte, perchè il gioco del salentino ne esaltava le doti; con Allegri, che chiede tanti movimenti ad allargare e dialoghi palla a terra, è sembrato spesso e volentieri un pesce fuor d’acqua. Eppure c’è anche lui nello scudetto della Juventus: come quando ha pareggiato subito contro la Fiorentina, o come quando – soprattutto – è diventato il quarto attaccante della squadra e senza scomporsi ha continuato a lavorare per farsi trovare pronto. E ora l’Europa: attenzione, al Real Madrid ha già fatto male… (29 presenze, 6 gol)
E’ il suo grande capolavoro. E’ vero che aveva la rosa più forte, è vero che non si è dovuto inventare granchè, ma di lui è piaciuto il modo in cui è entrato nel pianeta Juventus ad un giorno dal terremoto provocato dall’addio dell’idolo Conte: in punta di piedi, senza voler stravolgere alcunchè con l’orgoglio smodato di un Brian Clough ma nemmeno chinando la testa e accettando di perseguire idee di altri. Ha iniziato con il 3-5-2, ha chiuso con il 4-3-1-2, ha mischiato le carte, lanciato Pereyra, rinvigorito Vidal, sublimato Pogba e “laureato” Marchisio; ha dimostrato che forse il problema del Pirlo rossonero non era (solo) lui, e che sì, questo scudetto è anche e soprattutto suo. Vuole anche la Champions League? Giusto provarci, sarebbe memorabile.
(Claudio Franceschini)