Forse non ero così concentrato durante la conferenza stampa di presentazione di Massimo Ambrosini da nuovo giocatore della Fiorentina. Forse non ho colto la cattiveria, consapevole che il suo amore verso i tifosi del Diavolo non muterà mai. O forse in pochi hanno capito la vera essenza di Massimo, perché Massimo non è mai stato quel tipo di bandiera alla ricerca del consenso spasmodico per vivere meglio. Massimo vive con Paola, Federico e Angelica una vita familiare talmente piena da non aver certo bisogno di riflettori puntati a tutti i costi. Dopo diciott’anni nel Milan si aspettava un trattamento migliore: lo sapevamo, nulla di nuovo. E forse possiamo ammettere con tutta serenità che ha la sua grande fetta di ragione: basti pensare all’inaspettato annuncio in crociera di Adriano Galliani e all’addio del Capitano a San Siro con la totale assenza di rappresentanti della società. Così, nel più inconcepibile deserto emotivo che nemmeno la tardiva pagina su Gazzetta ha potuto far rifiorire. Da ieri Ambro viene demonizzato per aver detto che la Fiorentina meritava di più il terzo posto del Milan e per aver fatto una battuta sulla sua espulsione di Siena: “Ce l’ho messa tutta per favorire i Viola…”. Ebbene, che cos’ha detto di così tragicamente antirossonero da meritare l’inferno di un girone dantesco? Ambrosini non ha mai cercato di essere simpatico, o meglio, ha sempre preferito essere apprezzato per la sua sincerità. Un anno fa, di questi tempi, lo incontrai in via Marghera a Milano con Paola e i bambini: mi finsi tifoso e gli dissi che avevo da poco rinnovato l’abbonamento. Era il giorno dopo la sconfitta nel Trofeo Berlusconi con la Juventus, da poche settimane Ibrahimovic e Thiago Silva erano del PSG. “Bel coraggio”, mi rispose sorridendo. Avrei dovuto inveirgli contro, suppongo. O forse mi ha risposto come qualsiasi tifoso rossonero avrebbe risposto in quel momento. Senza contare l’innata signorilità. Bel coraggio, sì: fare l’abbonamento in quei giorni sarebbe stato davvero coraggioso. E qualcuno, probabilmente, l’avrà pure fatto. Ma i giocatori di calcio devono sempre credere nel gruppo per cui giocano e sputano sangue, penserà qualcuno. È vero, potrei rispondere, ma è una condizione più necessaria che indispensabile: non posso non citare l’esempio di Andrea Pirlo, che è riuscito a vincere una Champions League da protagonista nel 2007 nonostante non sopportasse Pippo Inzaghi, che pur abbracciò in quell’indimenticabile 1-0 di Atene. Pirlo è riuscito a rimanere a (lauto) libro paga del Milan anche per i successivi quattro anni, sebbene si sentisse un “diverso” dai suoi compagni, non un dipendente del presidente Berlusconi (già…), che peraltro dedicava sempre più tempo a Pippo che a lui. Ma evidentemente la verità, la propria verità, è sempre più facile scriverla in un libro che dirla in una conferenza stampa. Alzi la mano, senza ipocrisie, chi ha letto “Penso quindi gioco”: chi deciderà di farlo sotto l’ombrellone scoverà perle molto più succose delle presunte “bombe” sganciate ieri a Firenze. E allora, parafrasando il titolo del libro, che i tifosi pensino bene, molto bene, prima di paragonare l’amara, ma incontestabile trasparenza di Ambrosini, rossonero vero, alle lettere post-datate di un regista su cui, a livello umano, il sipario è già calato da tempo.



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