Che il Milan, vista la beata gioventù e l’inesperienza del , potesse chiuderla già al Philips è un dato di fatto: il gol di El Shaarawy aveva tagliato le gambe agli uomini di Cocu, sorpresi da un Abate che non era così a tutto campo da parecchio tempo. Bene lui, bene anche il signor Mario Balotelli finché del signore ha mantenuto l’aplomb. Primo tempo da trascinatore “a suo modo”, con quella traversa di fioretto su cui sembrava esserci scritto: “Champions, siamo già arrivati”. Perfino Boateng sembrava battersi come un leone, cioè… quasi. Un ottimo inizio, insomma, per gli uomini di Allegri, in grado di bloccare la vivacità e di frenare la verve istintiva dei padroni di casa. Poi, il solito: si prende il gol, si regge senza grandi patemi, ma non si ha il coraggio di ributtarsi in avanti e di chiuderla una volta per tutte. Si fa il Milan a metà, come già successo più volte lo scorso anno. Sebbene la sensazione sia comunque quella di un gruppo più solido. Deve crescere Emanuelson, ma il terzino sinistro è indubbiamente il suo ruolo: un paio di tackle ben assestati fanno pensare al meglio, poi si ricorda di esser stato una simil mezz’ala negli ultimi due anni e ogni buon proposito decade. Diverso il discorso per Muntari, che mezz’ala per Allegri lo è sempre stato, ma che ha un’autonomia mentale di non più di un tempo. Peccato, perché al massimo della lucidità il posto accanto a De Jong e Montolivo sarebbe sicuramente suo. Fasi lunari per i centrali, con Zapata leggermente meglio di Mexes, mentre dicevamo di Boateng e della sua prova: pur anarchico e apparentemente avulso da ogni logica tattica, dai suoi piedi passano più palloni del solito. E ne vengono persi meno del solito. Insomma, per fortuna non è stato il solito Prince, che aveva scaldato l’atmosfera del playoff pubblicando su Twitter un autoscatto in ascensore, con le labbra arricciate a mo’ di bacio. Brividi. Confortante, dulcis in fondo, la nascente alchimia della coppia Balotelli-El Shaarawy, alla prima europea con la maglia rossonera. Finalmente nessuno è stato messo in ombra, si dirà. In realtà, se possibile, la gara di Eindhoven ha mostrato una volta in più perché Mario sarà sempre il leader e Stephan il primo dei gregari: il primo è artista, croce nel carattere ma delizia con i piedi; il secondo è un buon esecutore, vede la porta ma resta una proporzione imbarazzante tra i gol e le occasioni che non sfrutta. A favore di queste ultime, naturalmente. Avremmo parlato volentieri anche dei subentrati, ma Massimiliano Allegri ha optato per sostituzioni tarde, che non hanno contribuito granché. La prima prova ufficiale del Max IV è essenzialmente superata, ma resta un campanellino fastidioso, a tratti frustrante: se la grande rivoluzione dell’estate scorsa è stata un toccasana economico e anagrafico, la mancanza di carisma (ben diverso dall’esperienza) è sotto gli occhi di tutti. Ne passerà, prima di tornare il Milan.



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