Da un nerazzurro all’altro, di San Siro in San Siro, dal 5 ottobre 2003 al 5 gennaio 2014, Kakà ha infilato i suoi cento e uno gol con la maglia del Milan. La prima vittima fu l’Inter, nel derby di undici anni fa: per l’ultima il brasiliano si è dovuto accontentare del nerazzurro bergamasco, ma poco importa. Tra Serie A (75 gol), Champions League (24) e Coppa Italia (2) l’ex Real Madrid ha distribuito il suo tesoro delle centouno perle: i tifosi ne aspettano altre, per ribaltare una classifica scomoda e tornare nell’elitè del calcio italiano. Chissà che anche il ct del Brasile, Luiz Felipe Scolari, non si stia fregando le mani: come tutti i calciatori verdeoro anche Kakà punta ad un posto nei mondiali di casa. Riuscirà a conquistarlo? Per parlare del traguardo raggiunto da Kakà e delle sue prospettive ilsussidiario.net ha intervistato in esclusiva Giorgio Ciaschini, collaboratore storico di Carlo Ancelotti che ha conosciuto il trequartista nei comuni anni al Milan (2003-2009). 



Kakà è uno dei suoi giocatori preferiti: si aspettava che sarebbe tornato a questi livelli? Dopo il precedente Sheva c’era più di un dubbio… Ci ho sempre creduto. Il problema principale di Kakà negli anni scorsi è stato fisico, ma lui non ha mai perso la voglia di esprimersi, di essere decisivo. Aveva bisogno essenzialmente di ritrovare continuità, ritmo: un ambiente come il Milan, che gli vuole bene, lo ha aiutato.



Crede che al Real Madrid abbiano qualche rimpianto, nonostante la qualità delle alternative di cui dispongono? Rimpianti no perché il Real ha una rosa di grandissima qualità. In un contesto di eccellenza come quello è inevitabile che qualche pezzo grosso finisca per restare di più in panchina. Se a questo sommiamo gli infortuni si capisce il minor spazio che Kakà ha avuto a Madrid. Uno come lui ha bisogno di giocare sempre e tornare al Milan lo ha messo nelle condizioni migliori.

Dei 101 gol di Kakà con la maglia rossonera ce n’è uno in particolare che ricorda con maggiore affetto? Sono particolarmente legato ai gol che ha segnato in Champions League, soprattutto quelli in progressione come a Manchester o a San Siro contro il Celtic nel 2007. Ricordo con piacere anche il primo di questi 101 gol, nel derby del 2003 sul cross di Gattuso. Però non bisogna dimenticare anche gli assist, come quello ad Inzaghi nella finale di Atene, contro il Liverpool. Quanto ai gol è difficile che ne realizzi di banali: ne ha fatti tanti e spesso bellissimi. 



Il prossimo mondiale è una motivazione inevitabile per lui: crede che senza questa spinta giocherebbe così bene? Posso considerarmi un amico di Kakà, quando lavoravamo assieme al Milan eravamo in ottimo rapporto. Chi come me lo conosce bene può affermare che le motivazioni di Kakà sono intrinseche. Lui fondamentalmente vuole giocare, divertirsi, lo si vede quando è in campo. E’ chiaro che il mondiale alle porte ha il suo peso, ma le vere motivazioni di Kakà sono dentro di lui, non è un luogo comune. 

A livello tecnico crede che possa ritagliarsi un posto nella lista del ct Scolari?

Al momento è difficile, il Brasile ha tante alternative in rampa di lancio, da Neymar a Oscar. Però di Kakà al 100% non si può fare a meno.

Tenendo conto di questo Kakà che prospettive possiamo dare al Milan per il girone di ritorno? Deve vincere sempre da qui a maggio, e ha il potenziale offensivo per farlo considerando che è arrivato anche un bel giocatore come Honda. I problemi sono nel reparto arretrato dove manca un leader: anche contro l’Atalanta la squadra ha rischiato prima di prendere il largo. Credo comunque che il Milan risalirà molte posizioni, in fondo tolte la Juventus e la Roma, che hanno qualcosa in più a livello generale, le altre squadre non sono irraggiungibili.

Allegri ha confermato che lascerà il Milan a luglio. Per la successione c’è in pole Seedorf, che lei ha conosciuto: crede sia già pronto per riportare il Milan al top? Partendo dal presupposto che le scelte di Berlusconi sono sempre state azzeccate, Seedorf ha sicuramente la personalità per reggere l’impatto. Ciò non toglie che c’è una certa differenza tra il lavoro in campo e quello in panchina.

Saprà superarla in fretta? Ci spero, la società dovrà supportarlo anche perché ogni allenatore lavora meglio se gli si costruisce una squadra all’altezza, e in linea con le sue disposizioni.

(Carlo Necchi)