Alla fine il Milan ha scelto, e ha scelto Filippo Inzaghi. Sarà lui il nuovo allenatore rossonero: sbaragliata la concorrenza, che un po’ a dire il vero si era defilata per conto proprio (Unay Emery ha annunciato il rinnovo con il Siviglia, mentre Jorge Jesus è legato al Benfica da un’onerosa clausola rescissoria). Sostituisce Clarence Seedorf: non è il caso di tornare sull’addio all’olandese e sulle scelte invernali della società. Il futuro si chiama Inzaghi, e tanto basta. Alla fine ha vinto la linea di Adriano Galliani: fosse stato per lui, SuperPippo sarebbe in panchina già da gennaio. Pazienza che nel frattempo sia stato eliminato dal campionato Primavera; per lui parla il Torneo di Viareggio vinto, per lui parla una Youth League da protagonista, soprattutto per lui parla la simbiosi che è riuscito a creare con i suoi ragazzi e l’innato carisma che si è trascinato a bordocampo. Il Milan ha scelto la linea interna, ancora una volta: un uomo a forti, fortissime tinte rossonere. Una scelta che riprende la continuità, e che in questo momento storico sembra essere una moda importante nel mondo del calcio. Spesso, con risultati più che dignitosi se non trionfali. Pensateci: Pep Guardiola, promosso dal Barcellona B, ha vinto 14 titoli in 4 stagioni e fatto diventare i blaugrana una delle squadre più forti di tutti i tempi. Eppure, non sempre le ciambelle riescono col buco. Andrea Stramaccioni ne è un esempio: catapultato in prima squadra dopo la vittoria nella NextGen Series, il tecnico romano aveva guidato l’Inter a un dignitoso finale di stagione, l’aveva portata a un punto dalla vetta con dieci vittorie esterne consecutive (Europa League compresa) ma poi era affondato in un mare di infortuni e dubbi tattici, chiuso al nono posto e mandato via a fine stagione. Diverse sono le parabole, se vogliamo, di Antonio Conte (che ha allenato tre squadre in Serie B e una, sia pur brevemente, in Serie A prima di approdare alla Juventus) e Leonardo (catapultato in panchina addirittura senza esperienza, e senza che fosse la sua prima scelta), diversissima quella di Diego Simeone che, pur tornato dove aveva vinto un doblete, aveva già vinto titoli in Argentina; mentre molto simile è quella di Fabio Capello. Lui pure arrivava dalla Primavera – dove aveva vinto la Coppa Italia – e dopo aver guidato il Milan per sei partite sostituendo Niels Liedholm era tornato in panchina dopo aver fatto il dirigente nella sezione hockey su ghiaccio di quella che all’epoca era una polisportiva. Le similitudini, tuttavia, finiscono qui: perchè Don Fabio prese in mano una squadra che stava dominando in Europa ed era già formata, la condusse sì a tre scudetti consecutivi e tre finali di Champions League (vincendone una) ma di fatto non dovette risollevarla dagli abissi. In questo senso Inzaghi ha un compito molto più vicino a quello del Conte bianconero, ma come abbiamo detto le due promozioni conquistate in cadetteria facevano un curriculum che è probabilmente più ricco di due anni con le giovanili. Il Milan, insomma, rischia di nuovo:
Scottato dall’esperimento Seedorf sceglie di non cambiare la sua filosofia e scommette sul fatto che un cuore rossonero, che sa bene cosa significhi indossare la maglia nei tempi trionfali come in quelli bui, sia in grado di far rinascere il Diavolo dalle sue ceneri. Sarà la scelta giusta? Siamo alle solite: ce lo dirà il campo, a priori non si può sapere. Intanto ci si divide: chi sostiene che certi episodi del passato facciano ben sperare (e li abbiamo citati), chi è convinto che SuperPippo non abbia ancora la “garra” giusta per questo tipo di compito. Sulla carta, allora, possiamo ipotizzare questo: che il Milan abbia deciso di ripartire “con calma”, secondo una strada fatta di ricostruzione passo per passo, senza la fretta di vincere subito per poi cadere. Non si vuole ripetere insomma l’epopea di Massimiliano Allegri, che partì con lo scudetto per poi andare in discesa. Lo dimostrano anche i nomi che circolano intorno alla campagna acquisti: il ritorno di Paloschi, quello di Matri, la possibile conferma di Saponara, magari qualcuno dei pretoriani di Inzaghi promosso dalla Primavera (si può scommettere su Pacifico, Pedone e Benedicic, che avranno comunque ruoli marginali). I rossoneri vogliono tornare a dominare; per farlo, avranno bisogno di un processo graduale e in questo senso Inzaghi può essere l’uomo giusto. Se poi vincerà subito, come ha fatto Conte a Torino, sarà tanto di guadagnato. Per quanto riguarda Clarence Seedorf, ha pagato la fretta: la sua, di tornare al Milan. Quella della società, di non aspettare la fine della stagione e rivoluzionare a bocce ferme. Avesse centrato l’Europa, l’olandese sarebbe forse rimasto; non ce l’ha fatta, ma non si può certo dire che sia stata colpa sua. Inzaghi dunque: quando Guardiola ha vinto la prima Liga a Barcellona aveva 38 anni. Che lui possa festeggiare lo scudetto a quasi 41? Staremo a vedere.
(Claudio Franceschini)