“AC Milan comunica di avere esonerato l’allenatore Clarence Seedorf e di avere affidato la Prima Squadra, fino al 30 Giugno 2016, a Filippo Inzaghi”. Con questa breaking news, tecnicamente ‘notizia di rottura‘, il Milan ha ufficializzato la separazione da Clarence Seedorf, che lascia la panchina rossonera dopo 144 giorni e 22 partite tra campionato e coppe, di cui 11 vinte 2 pareggiate e 9 perse. Dalla comunicazione filtra una certa freddezza e viene un pò da ridere pensando a come era cominciata, con le immancabili fanfare di fratellanza rossonera. Mancano le frasi di rito come ‘si ringrazia il mister per il lavoro svolto’, che solitamente accomunano gli esoneri dalla Serie A alla Lega Pro. Figurarsi i tradizionali ‘migliori auguri per il prosieguo della carriera professionale’: alla fine ha vinto Adriano Galliani che evidentemente non ha mai gradito le modalità gestionali del Seedorf allenatore, preferendo (imponendo?) un uomo più fidato come Filippo Inzaghi. E’ difficile leggere il futuro dell’olandese che ora in ogni caso potrà voltare pagina e ricominciare con più tranquillità: tutto può servire ed anche i cinque mesi scarsi da capo allenatore del Milan potranno tornare utili, come un vero e proprio battesimo di fuoco. Nel frattempo possiamo solo ripercorrere le tappe del divorzio: il 19 gennaio la prima volta, vittoria per 1-0 a San Siro contro il Verona, propiziata da un calcio di rigore di Balotelli. Neanche il tempo di festeggiare ed ecco la prima sconfitta con eliminazione annessa, sempre in notturna sul prato del Meazza: 1-2 contro l’Udinese in Coppa Italia. 8 febbraio: ko a Napoli e primi malumori dalle stanze dei bottoni, per alcune scelte di difficile lettura (Mexes capitano, Abate trequartista). Il 20 febbraio la prima di Champions League, nell’andata dei quarti di finale contro l’Atletico Madrid: uno 0-1 beffardo che col senno di poi acquista più spessore. L’11 marzo la seconda estromissione, questa volta dal torneo più caro: 1-4 al Vicente Calderon e addio a musichina, grandi orecchie e derivati, tra cui tanti bei soldini. Dal 2 al 23 marzo il mese nero del ‘seedorfismo’: tre sconfitte consecutive contro Juventus (0-2 in casa), Udinese (1-0 in trasferta) e Parma (2-4 a San Siro) e il pareggio con la Lazio (1-1). Svoltato marzo pazzerello chiuso anche l’ombrello: con aprile la primavera rossonera riscaldata da cinque successi filati; Fiorentina (0-2) Chievo (3-0) Genoa (1-2) Catania (1-0) e Livorno (3-0) messe in riga subendo solo un gol. Ma senza riuscire a sradicare la serpe in seno, una sorta di scetticismo crescente che dovrebbe avere la sua fonte primordiale in Galliani ma che, stando alle cronache progressive, ha trovato affluenti anche in qualche giocatore e in particolare nel nucleo azzurro (Amelia, Abate, Montolivo, Pazzini). Quasi un peccato originale che però è difficile associare a fatti precisi, e che nemmeno il ritorno al successo nel derby ha smacchiato (4 maggio, firma Nigel De Jong). Poi la fatal Bergamo dell’11 maggio: sconfitta al 95′ firmata da un capolavoro di Brienza, addio Europa e quale miglior pretesto tecnico per cambiare allenatore? L’ultima partita resta Milan-Sassuolo 2-1 del 18 maggio: poi un lungo calvario mediatico e silenzi rumorosi dei vari protagonisti, da Barbara Berlusconi fino all’eletto SuperPippo, che ha potuto solo raccogliere il testimone. Resta una vaga sensazione di mistero e la certezza che comunque, quando si cade, ci si può solo rialzare più forti. Certo, essere disarcionati fa più male.
(Carlo Necchi)