“E’ un fatto straordinario nella sua normalità, è una normalità straordinaria”. Così dice Giorgio Terruzzi, vice-direttore della testata Sport Mediaset e responsabile della rubrica “Motori”, parlando della famiglia di Marco Simoncelli, il giovane pilota morto tragicamente in un incidente in pista e salutato ieri da una folla straripante e commossa al suo funerale. Ha colpito tutti infatti la dignità, la forza, la serenità pur nel dolore enorme che hanno mostrato in questi giorni di lutto il padre e la mamma di Marco.
“Questa famiglia ci ha mostrato qualcosa” dice ancora Terruzzi “una famiglia sana, perbene, unita come potevano essere le famiglie di un tempo passato, un tempo che non è questo. Ci hanno mostrato la custodia di valori che si sono perduti, hanno permesso che questi valori fossero ripristinati, pur dentro una immagine di dolore. In tutto questo c’è certamente qualcosa di straordinario eppure normale. Ma è questa normalità che lascia stupiti”.
Non una perdita e basta: “Ci hanno mostrato la gratitudine per quello che hanno avuto, il figlio, gratitudine per una storia dove alla fine la gioia prevale. Un fatto straordinario persino al cospetto della morte, persino al cospetto di un addio così precoce e traumatico”.
Terruzzi, siamo rimasti tutti colpiti dall’atteggiamento di forza, di unità, di serenità nel dolore della famiglia Simoncelli. Come se lo spiega?
Nel clamore enorme mediatico che ha suscitato questa morte, e attenzione che stiamo parlando di un ragazzo che non aveva ancora vinto una corsa in MotoGp, c’è stata una attenzione enorme. Perché? Perché la rappresentazione di questa persona e della sua famiglia è come se contenessero un valore semplice che oggi si ritrova pochissimo. Siamo così assuefatti alla “fuffa” che la semplice storia di una famiglia sana, unita e perbene – come potevano essere le famiglie di un tempo passato, non di questo tempo in cui ci troviamo -costituisce qualcosa di straordinario nella sua normalità: è una normalità straordinaria.
Come se la custodia di valori che si sono perduti fosse stata ripristinata da questa immagine purtroppo dolorosa. In tutto questo c’è certamente qualcosa di straordinario anche se è “normale”. Ma è proprio questa normalità che lascia stupiti.
Ha colpito anche l’atteggiamento della fidanzata, Kate, come se la famiglia Simoncelli l’avesse coinvolta in questa composta serenità.
Le sue parole dopo il funerale sono state commoventi. Sarà dura comunque perché il vuoto di una morte è un vuoto che pesa. Ho tre figlie, dico sempre che sono uno che reagisce a tutto, ma non so cosa farei in una situazione analoga. Bisognerà avere indulgenza e pazienza perché queste sono cose che cambiano il rapporto che uno ha con il vivere.
Ieri sera abbiamo mandato in onda uno speciale su Italia 1 dove abbiamo volutamente aspettato che avessero parlato, tutti, purtroppo nel mondo della televisione si arriva all’overdose di parole. Noi invece che far vedere ancora una volta le immagini dell’incidente di Marco abbiamo preferito mandare in onda immagini divertenti della sua vita, perché Marco era un ragazzo divertente.
Un modo per far passare un’altra immagine della morte?
Sua madre dopo il funerale mi ha detto: io rifarei tutto uguale. La capisco, ci credo: è come partire per una vacanza dove funziona tutto e il posto è bello. Ma la loro non è stata una vacanza, è stata una avventura che ha coinvolto una famiglia, costantemente. E’ una cosa bella e quasi una rarità.
Personalmente sono separato e circondato da gente che ha affanni familiari terribili, ma dico sempre a mia figlia la frase che Merlino dice a Semola nel film La spada nella roccia: l’amore è la cosa più potente che c’è sulla terra. Questa famiglia ha segnato proprio questa cosa davanti a tutti, che l’amore è la forza più potente anche di fronte a un dolore come questo.
Parliamo un po’ di Sic, per raccontarlo meglio anche a chi non lo conosceva. Lei conoce bene il mondo delle corse e i suoi protagonisti: quando vi siete accorti per la prima volta del talento di Marco Simoncelli?
Il suo talento è apparso in modo evidente quando correva con la 125. Aveva un problema: era handicappato dal suo fisico. I ragazzi a 15, 16 anni hanno delle crescite con dei ritmi propri, e lui era già molto alto e nella 125 il peso e la statura fanno “il paio” con la moto che ha una potenza ridotta. Ci siamo accorti comunque lì del suo talento e poi definitivamente con la 250 dove il fatto di avere una moto più a sua misura fisica lo ha fatto sbocciare. Ma siamo anche resi conto di un altro elemento.
Quale?
Era un ragazzo che aveva bisogno di due tempi, uno di studio e uno di pratica. Aveva bisogno di un tempo per far sbocciare il proprio talento, non era un ragazzo pronto subito. Aveva bisogno di una fase di rodaggio e di apprendistato che cambiando categoria aveva sfruttato al massimo, raccogliendo i frutti di questo rodaggio.
In questa stagione Simoncelli aveva già raggiunto il suo top o doveva crescere ancora, sportivamente?
Era ancora in fase di crescita, era proprio sulla soglia dell’ultimo gradino. L’anno prossimo le moto avrebbero avuto una cilindrata di mille cc, quindi più potenti e più adatte a lui perché nel frattempo era cresciuto ancora. Se si guardano le immagini, le foto delle moto in pista si vede proprio che lui sborda fuori, è proprio lungo. L’anno prossimo avrebbe avuto giovamento dall’aumento di cilindrata e avrebbe anche smaltito una serie di nodi che aveva accumulato quest’anno che non era stato un anno felice per lui.
Di quali nodi parla?
C’era stata una polemica anche forte da parte degli altri piloti sulla sua aggressività in pista che lo aveva molto ferito. Soprattutto perché veniva da colleghi che non capiva perché dicessero così. Marco era un ragazzo dalla sensibilità fin troppo esposta. Poi c’è stato anche un lungo rinnovo del contratto con la Honda che lo aveva affaticato molto. L’anno prossimo avrebbe certamente brillato ancora di più.
C’è un motivo perché questa particolare zona d’Italia, la Romagna, produce così tanti piloti di talento?
Il motorino, la moto, anzi “il motore” come lo chiamano loro, è dentro quella cultura. In Romagna vengono organizzate una quantità enormi di gare con le mini moto, in quella zona lì c’è una tradizione di campioni nati e cresciuti lì. E’ una terra che porta più ragazzi vicini alle moto per cultura senza naturalmente togliere ad altre zone d’Italia che producono anch’esse dei campioni.
Ma è come dire come mai il rugby si gioca molto nel Veneto: perché lì c’è una tradizione radicata di famiglie, di amici, di parenti che giocavano a rugby ed è la stessa cosa con la moto per la Romagna.
A proposito di campioni romagnoli: Valentino Rossi era molto amico di Marco. L’aver perso un amico ed essere rimasto coinvolto nell’incidente che ha provocato la morte di questo amico secondo lei lo segnerà in qualche modo?
Bisogna fare due discorsi. La morte di una persona vicina ti segna, c’è poco da fare, ma il fatto che sia stato coinvolto passa in seconda linea. Il coinvolgimento di Valentino è stato così causale che penso venga smaltito in fretta se già non lo è stato da tutti vista la dinamica dell’incidente stesso. Sarà segnato perché la perdita di un amico segna. Ma c’è un altro discorso da fare a questo proposito.
Ci dica.
Questi ragazzi che fanno questo mestiere non sono fatti come noi. Hanno una percezione del pericolo che non è quella che abbiamo noi. Quello che loro fanno lo trattano come una attività consueta. Sembra assurdo, ma non è così. Il fatto di andare a correre per loro è come per noi fare quel che facciamo tutti i giorni. Non è situazione che determina ansia, come succede invece a noi pensando a loro quando li vediamo in pista.
Io dico sempre che i pezzi del Lego sono diversi per ognuno. Questi piloti hanno una percezione del limite, del pericolo e della velocità e aggiungo dell’autoconservazione differente. Ma mi ferrmerei perché si finirebbe dentro a un discorso molto, molto complesso.
Che tipo di discorso?
Si va a finire a parlare di messa a rischio della vita. In sostanza il loro modo di porsi è molto lontano dal nostro: così come per noi è eccezionale vedere uno che va a 340 chilometri orari su una moto, per loro invece non costituisce un elemento di eccezionalità come lo è per noi. Ed ecco allora che nonostante gli incidenti si capisce perché uno va avanti a correre.
Questo discorso smonterebbe anche la questione se il motociclismo sia uno sport pericoloso e quindi deprecabile, da criticare.
I casi sono due: o la piantiamo di guardarli mentre corrono oppure prendiamo atto che questi tipi di sport sono pericolosi e si può anche morire, non ci sono santi, se c’è un incidente così si muore. Negli sport di motore ci sono alcune dinamiche di cui la morte è una conseguenza naturale. Allora dobbiamo essere onesti e dire che gli ingredienti di fascino per tutti noi che li guardiamo sono anche questi.
La morte?
Il rischio che accada. Uno dovrebbe sentirsi di dire: mi dissocio e non me ne occupo e non li guardo più, altrimenti questo saltabeccare fuori e dentro non è plausibile. Tutte le volte interrompiamo per un mese e poi riprendiamo: non ha senso.
E’ vero invece che sono sono sport ad alto rischio così come è vero che il successo presso il pubblico è in questo elemento di rischio, se no non si spiegherebbe che una partenza di un gran premio ha sempre un indice di ascolto superiore al resto della gara perché è il momento dove accadono più frequentemente gli incidenti.
Uno poi è libero di dire non sono d’accordo che un ragazzo di 24 faccia una cosa così rischiosa, ma il paracadutismo e altri sport sono ugualmente sport a rischio.
Il motorismo in ogni caso rimane uno sport che ha un fascino particolare.
E’ un mix del Novecento, sta dentro una evoluzione di un mezzo meccanico, è una corsa che ha attraversato un secolo. E’ una cosa complessa il motorismo, il ciclismo ad esempio è bello e gradevole senza la componente del rischio che ha il motorismo: nel ciclismo gli incidenti mortali sono qualcosa che non dovrebbe neanche essere contemplata. Ma se poi c’è la fatalità…
(Paolo Vites)