MOTOGP ARAGON. Valentino Rossi correrà il Motogp di Aragon. Che Dio gliela mandi buona. E la mandi buona anche ai suoi avversari. Quale operaio potrebbe tornare in cantiere con una gamba rotta? Ma, che dico, quale impiegato potrebbe tornare in ufficio? Eppure quando il dottor Bortolozzi dice: “La gamba non è gonfia. Ha avuto un po’ di dolore nei cambi di direzione, anche se la guida sul bagnato è sicuramente più morbida” pare che l’unico fremito possibile fra l’italica gente sia quello dell’orgoglio nazionale, della gioia, dell’ammirazione. Sembra, così raccontano i media, che la schiena dell’italiano medio si metta spontaneamente dritta e venga attraversata dalla fierezza quando Valentino Rossi, eroe moderno, scende in battaglia contro drago Marquez nonostante sia ferito.
Scusate ma non ci sto. Ventidue giorni fa il nostro ha riportato la frattura di tibia e perone con conseguente operazione chirurgica ed inserimento di chiodo: se va tutto bene, con alcune nuove strumentazioni puoi recuperare in due mesi. Anche se in genere agli sportivi si consiglia la rimozione del “mezzo di sintesi” (cioè del chiodo) prima di rientrare in attività. Detto in italiano corrente il rischio che ha corso, corre e correrà Valentino Rossi in questi giorni è che durante una curva, non perché cade, non perché gli vanno addosso, ma semplicemente per la forza centrifuga e centripeta dell’accelerazione e del peso della moto, il rischio — dicevo — è che il chiodo che gli tiene assieme perone e tibia gli si spezzi nella gamba e gliela sfracelli di nuovo. Con conseguenze non proprio bellissime. Ripeto che sto parlando del rischio dello sforzo e che non sto neanche prendendo in considerazione il rischio di un incidente fatto a trecento all’ora magari sul bagnato (sì perché le prove del primo giorno sono avvenute sul bagnato e ovviamente in una gara c’è anche il rischio della pioggia).
Sto parlando del rischio mostruoso che corre lui, Valentino Rossi, ma non solo lui. Poiché non si gareggia da soli, il rischio temerario che correrà Valentino Rossi riguarderà anche tutti quelli che saranno in pista con lui e che potrebbero essere coinvolti in una sua eventuale caduta dovuta al suddetto cedimento del chiodo. Ma perché Valentino compie questa follia? Per vincere il mondiale? Ma Marquez è inarrivabile e il mitico decimo titolo è impossibile da raggiungere: al massimo — attualmente Valentino Rossi è quarto — potrebbe raggiungere Vinales, che è terzo. Perché lo fa? Qual è il combustibile di questa pazzia? Il denaro e la smania di apparire? La malattia di esserci a tutti i costi e di voler passare alla storia come un eroe?
Io non so rispondere. Posso solo provare a ricordargli che forse sta dimenticando che nella vita reale non di rado l’eroismo vero è quello del sapersi fermare e di saper arrivare ultimi. Il vero fenomeno è chi è capace, dopo tante vittorie, di tener spento il motore e di capire che l’ora di dire basta è arrivata. Essere grandi eroi sportivi significa, quando si arriva a fine carriera, avere l’umiltà di fermarsi. Significa saper comunicare rispetto per il proprio corpo, per la propria vita e per la vita altrui, e sapere che ci sono dei tempi che non si possono ignorare. Capisco che per chi è abituato a correre e a vincere (o comunque a lottare per la vittoria) decidere di smettere è difficilissimo, ma farlo significa avere dentro di sé la forza di una grande consapevolezza dei propri limiti.
E anche della propria famiglia e della propria squadra. Significa avere rispetto dei tantissimi lavoratori che sono costretti a tantissime giuste cautele e prudenze da inconvenienti infinitamente minori, e che magari domani passeranno per pavidi davanti agli occhi dei propri figli. Accettare i propri limiti significa essere, prima che campioni, grandi uomini. E per questo grandissimi campioni.