VALENTINO ROSSI, MOTO GP ARAGON. Noi (noi chi? noi!). Noi siamo gente che va matta per i miracoli. Tipo: i ciechi vedono, i sordi odono, gli storpi camminano, i fratturati a tibia e perone vanno in moto Gp. E vanno forte. Fortissimo. Magari non fanno la pole (anche con i miracoli non bisogna mai strafare) ma acciuffano la prima fila sulla griglia di partenza. 



E’ successo o no? E’ successo sì. Ieri. Valentino Rossi ieri si è piazzato terzo alle prove ufficiali, a 180 millesimi da Vinales, a 80 centesimi da Lorenzo; i Marquez, i Dovizioso e compagnia, dietro. Oggi saremo ancora in piedi sul divano, a tifare spudoratamente per il Mitico 46. In piedi sul divano, sì: noi siamo gente che il divano gli serve per starci sopra in piedi, alla Guido Meda, per intenderci, buttando il cuore e il fiato nell’agone. Mica come ai tempi dell’altro telecronista, Guido Oddo, che il divano ti serviva per addormentarti in bianco e nero su una partita di tennis sul 30 pari del secondo game. 



Dunque sul divano, oggi. Scatenati. Ma sereni, perché il miracolo l’abbiamo già vissuto ieri e ora siamo goduti come un poppante che ha appena tirato mezzo litro di latte materno. Perché a dire davvero come stanno le cose, noi siamo gente che più ancora che i miracoli, ci piacciono da morire quelli che ci provano. Li ammiriamo talmente da sentirci loro stessi. Cioè da sentirci fatti per qualcosa da fuori di testa. Da fuori dal tran tran della mediocrità quotidiana. Perché la quotidianità stessa, per essere vissuta e goduta, richiede capitani coraggiosi, non ragionieri del catasto. E, via!, il campione è un ragioniere del catasto o un fuori di testa? La risposta esatta è la seconda. Un fuor di testa che non può togliersi di dosso la tensione a qualcosa di più grande.



Tazio Nuvolari si fracassò due gambe a Monza, e il giorno dopo coi suoi due gamboni di gesso si fece issare in sella dai meccanici, con la promessa che l’avrebbero acchiappato all’arrivo per farlo scendere, corse e vinse. La vittoria fu come il premio eterno. Ma poteva anche non esserci: vedere il mantovano volante battersi ingessato era già il centuplo quaggiù. E lui aveva già dimostrato tutto sulle due ruote (poi l’avrebbe fatto anche sulle auto).

Ricordo personale. Negli anni 50 si correva in moto la Milano-Taranto, che era tipo una Mille Miglia su due ruote. Partecipavano due fratelli baristi di Melzo, uno in particolare era un fuoriclasse: per tutti era “el Matt”, e anche il bar è per sempre il bar del Matt.  

Valentino non presenta la vistosa ingessatura dell’illustre predecessore del secolo scorso. Oggi si va di titanio e altre leghe prodigiose (sempre che non ti rifilino una rotula usata con osteoporosi, ma a un Rossi questo non può accadere). Però Vale ha la stampella. Dai dite il nome famoso… Gli irredentisti massoni della vigilia della prima guerra mondiale ce li hanno fatti studiare come eroi, e in effetti diversi di loro ci rimisero l’osso del collo sulle forche asburgiche. Guglielmo Oberdan, Damiano Chiesa, Fabio Filzi. Tutti nomi che non ci dicono granché, sempre ammesso che ce li ricordiamo. Invece Toti, Enrico Toti, e come no?, quello ce lo ricordiamo tutti, il più simpatico del gruppo, un po’ fuori di testa, appunto, dato che la sua stampella ha ritenuto più degno tirarla in fronte al nemico che tenersela lì come puntello. Ecco, Valentino ha tirato la stampella alla grandissima.

Ricordo numero due. In piedi non sul divano ma sui tavoli dell’Albergo Miramonti di Costa d’Olda (Bergamo) c’eravamo tutti, noi ospiti (ero lì a preparare gli esami di maturità con il mio amico Chico Testa), la notte del 17 giugno 1970. Sì quella di Italia-Germania 4-3, semifinale dei mondiali a Città del Messico. Certo, Boninsegna, Riva, la pennellata finale di Rivera. Tutto indimenticabile ed esaltante. Ma vogliamo parlare di Kaiser Beckenbauer, che si scassa una spalla e va avanti per il resto dei 120 minuti a dirigere a bacchetta l’orchestrona dei crucchi, scorrazzando per il centrocampo e menando precise pedatone al foot-ball con il braccio appeso al collo? Secca ammetterlo, perché non era dei nostri ma del nemico, però che ammirazione! Anche il teutonico Franz non aveva più nulla da dimostrare, poteva uscire dal campo piagnucolando: ricorderemmo un pastina di impiegatuccio, non un kaiser. 

Reso l’onore delle armi al nemico, torniamo al patrio orgoglio. In quella partita la Roccia, Tarcisio Burgnich, non disse nemmeno a nessuno che un calcione gli aveva procurato un taglio doloroso al tallone, restò in campo, e rese la pariglia a Schnellinger segnando uno dei due gol fatti in 66 partite in nazionale, rimandando l’Italia alla carica. I punti alla ferita potevano aspettare.

E Lauda? Simpatico come la sabbia nelle mutande, ma abbiamo tifato per lui senza risparmio da ferraristi inguaribili, poi l’abbiamo ammirato per la classe e la vittoria nel mondiale. Ma l’amore al campione è stato quando Niki è tornato in pista sulla rossa dolorante, con il viso sfigurato dalle ustioni e la testa fasciata come una mummia di faraone. E solo per quella visione dell’eroe abbiamo mandato giù il rospo di quando in Giappone preferì ritirarsi piuttosto che rischiare sotto l’acquazzone, mollando la gara a quella vecchia volpe di Mario Andretti e il titolo mondiale a quel simpatico filibustiere di James Hunt.

Dunque, poche storie. Oggi in piedi sui tavoli e sui divani, liberando le urla che ci detta il cuore. Rossi rischia la tibia e il perone. Embè? Saranno mica più importanti dell’osso del collo, che pure questi piloti rischiano e sanno di rischiare ogni volta che gli vien data luce verde. Perché non è detto che i fuori di testa non sappiano fare i conti, anzi. E soprattutto saranno mica più importanti di quell’insopprimibile spinta a volere le cose grandi? Meglio cuor di leone con la tibia rotta, che ragioniere con le ossa in ordine. Tradotto anche per noi (noi chi? Noi, no?): siamo tutti Valentino, Se no quella bella frase: “Siate realisti, cercate l’impossibile”, che la diciamo a fare? Per essere dei (ragionier) Fantozzi?

Nella vita, come nella gara, il copione non è tutto scritto, se no sai che noia e che telecronache alla Guido Oddo. Sentite cosa ha detto The Doctor ieri dopo le prove: “Sono molto contento, perché non sapevo bene che cosa aspettarmi. Sono stato fortunato perché la gamba migliora di giorno in giorno. Ho cercato di allenarmi sempre al massimo, avevamo studiato una buona strategia. E’ già bellissimo così, figuriamoci in gara, dato che la gamba non fa tanto male. Ringrazio i medici e tutte le persone che stanno lavorando con me… Mi è venuto un bel giro. Il passo gara? Per ora non lo so, dobbiamo ancora decidere che gomme usare…”.

Appunto, il copione non è scritto e la sfida non è mai finita. Forza Vale!