Andy Murray si ritira. La notizia shock arriva dalla conferenza stampa pre-Australian Open 2019: visibilmente commosso, lo scozzese ha confessato i suoi patimenti fisici e una condizione mai più ritrovata. “Penso ci sia la possibilità che gli Australian Open siano il mio ultimo torneo”: un lampo nel cielo terso di Melbourne, la tempesta in mezzo alla calma che precede l’inizio dello Slam. Poi, come in un film che annuncia il suo sequel, Murray ha anche detto che spera di arrivare fino a Wimbledon, e salutare sul prato di casa. Che a dirla tutta non sarebbe nemmeno il suo giardino, ma nel tennis la divisione tra i Paesi del Regno Unito non esiste: inglesi, scozzesi e così via giocano tutti per la Union Jack. Curioso: da queste parti non è che vadano troppo d’accordo (anzi), ma Andy Murray è riuscito a diventare l’eroe di tutto il popolo britannico quando nel 2013 – ma a dirla tutta anche un anno prima, alle Olimpiadi di Londra – ha finalmente spezzato una maledizione lunga 77 anni, riportando il titolo di Wimbledon entro i confini del Regno. Uno dei tanti capolavori di una carriera da eterno secondo, ma un secondo che si è ribellato alla sua condizione e ce l’ha fatta: magari non lo ricorderemo come il più grande tennista della storia, ma chi avrà buona memoria dovrà accettare di vedere in Murray l’epitome dell’atleta che, non baciato dall’innata classe di un Federer o un McEnroe, è arrivato a sfidare e battere i migliori. Del resto che fosse un predestinato si poteva intuire già in tenera età: a 8 anni scampò insieme al fratello al massacro di Dunblane, quando Thomas Watt Hamilton entrò nella sua scuola elementare e aprì indiscriminatamente il fuoco. Lui e Jamie ne uscirono: si barricarono nell’ufficio del preside e in seguito Andy decise di non tornare più sull’argomento, anche perché – raccontò prima di archiviare l’episodio – lui e mamma Judy avevano anche frequentato quell’uomo, come può accadere in una piccola comunità. All’epoca Murray giocava già a tennis (ha iniziato a due anni); inevitabile pensare che quello shock infantile possa avergli instillato quel lato di carattere che in campo gli ha consentito di non mollare mai, di rincorrere ogni palla come se fosse l’ultima.



LA CARRIERA DI ANDY MURRAY

Raccontare Andy Murray in poche righe è francamente impossibile: sono troppi i tornei cui ha partecipato, troppe le partite che si dovrebbero ricordare, troppi gli avversari con cui ha diviso il campo. Forse l’immagine migliore di tutta una carriera resta la finale di Valencia 2014, quei cinque match point annullati a un Tommy Robredo che, esausto e incredulo sotto rete, gli mostrò il doppio dito medio per poi lasciarsi andare a una bella (ma anche amara) risata. Questo è stato Andy Murray, questo è il tennista scozzese ancora oggi: un atleta che si è preso tutto con la determinazione e il carattere, con il lavoro quotidiano e la volontà di primeggiare. Lo vedi perdere un punto e inveire a fondo campo: contro se stesso, contro la sfortuna, contro chissà cosa. Ha vinto tutto: gli Us Open per togliersi lo sfizio dello Slam, Wimbledon – già detto – un anno dopo le lacrime per la finale persa contro Federer e con tanto di bis, due volte le Olimpiadi diventando il primo tennista nella storia a mettersi due ori al collo, consecutivamente. E poi ancora la Coppa Davis, che non è una vittoria banale: la Gran Bretagna la aspettava da 79 anni, e ci è voluto più tempo di quanto ne sia servito per vedere un suddito del Regno trionfare ai Championships. Poi, Murray è diventato numero 1 al mondo: da sempre considerato il quarto dei Big Four è riuscito a scavalcarli per prendersi la gloria in prima persona. Proprio lì sono iniziati i problemi: l’anca e la schiena hanno deciso di presentargli il conto. A Wimbledon, Murray ci è andato per difendere il titolo ma era la contrifigura di se stesso; nemmeno lui sa come è arrivato ai quarti e a condurre due set a uno su Sam Querrey. Da quel momento, di fatto, non ha più giocato e quella contro Roberto Bautista Agut, al primo turno degli Australian Open, potrebbe essere l’ultima partita della carriera. Ci scuseranno i lettori se, mancando di originalità, ci rivolgiamo allo scozzese utilizzando le parole che Juan Martin Del Potro gli ha dedicato su Twitter: “Per favore, continua a combattere. Meriti di ritirarti alle tue condizioni, qualunque sia il momento”. Speriamo sia davvero così, perché il tennis non è ancora pronto a vivere senza Andy Murray.

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