La medicina preventiva è senza dubbio un’opportunità, ma è necessaria comunque una riflessione etica per il professor Maurizio Calipari, docente di bioetica all’Università europea di Roma e portavoce dell’associazione Scienza e vita. Infatti, si stanno sempre più diffondendo i test genetici per scoprire un’eventuale mutazione del Dna, anche alla luce delle vicende di Bianca Balti e Angelina Jolie, il cui rischio si avvicinata al 70-80%. Questi test sono, infatti, utili per individuare «l’eventuale presenza di geni mutati, “predittivi” di patologie, prevalentemente tumorali, che potrebbero presentarsi in futuro nel soggetto». Ne ha parlato a La Verità, spiegando che «si tratta di capire come agire di fronte al rischio dell’insorgenza futura di queste malattie».
Di conseguenza, non ci sono né sintomi né certezze che per una mutazione del Dna insorgano davvero in futuro queste malattie. «Nessuno può certificare che negli anni a venire, anche in presenza di una mutazione genetica, si svilupperà con certezza assoluta la malattia», spiega il professor Maurizio Calipari. Dunque, non si deve commettere l’errore di generalizzare. «Ogni persona ha la propria storia clinica e nella scelta operativa entrano in gioco anche altri elementi di valutazione importanti come, l’età, la condizione di vita, la presenza di figli».
MUTAZIONE DNA E INTERVENTI, RISCHIO EMULAZIONE
La riflessione si intreccia al timore del rischio di una emulazione anche per situazioni che non giustificherebbero un intervento. «In presenza di geni con una particolare mutazione, la logica medica suggerisce l’opportunità di intervenire preventivamente, date le alte probabilità di sviluppare in futuro un tumore; il fatto è che l’intervento preventivo consiste nell’eliminare parti dell’organismo al momento perfettamente sane», afferma il professor Maurizio Calipari a La Verità. Dunque, è tutta qui la questione. Quindi, il paziente può scegliere di procedere con una situazione meno impattante nell’immediato, soffermandosi sul monitoraggio della situazione «per agire soltanto quando vi siano i primi segni concreti della malattia in atto». L’alternativa è «eliminare il problema alla radice mutilando una parte sana nel timore che in futuro si presenti la temuta patologia». Decidere, però, è tutt’altro che semplice. «Di fronte a uno scenario così complesso, non ci può essere una regola apodittica che vale per tutti e in ogni circostanza».
“SCIENZA FORNISCE STRUMENTI, MA USO DIPENDE DA CASI”
L’esperto di bioetica si sofferma sul caso del tumore alla mammella. In questo caso, il test genetico è indicato con fattori familiari e individuali. «Questa decisione va presa su indicazione del medico oncologo e del genetista. La scienza mette a disposizione uno strumento di conoscenza, ma l’uso che se ne fa dipende dai singoli casi e, in ultima analisi, dalla coscienza del soggetto interessato», dichiara il professor Maurizio Calipari a La Verità. Nell’intervista prende posizione contro l’ipotesi di screening genetici a tappeto sulla popolazione. «È un’ipotesi di poca utilità concreta, che probabilmente finirebbe per provocare più danni che benefici». Ad esempio, una persona con una mutazione genetica, ma senza fattori di rischio, potrebbe non sviluppare mai la malattia. «Quindi uno screening di massa potrebbe diffondere in tante persone la convinzione di essere malate pur non essendolo». Peraltro, ci sono comunque indagini a cui sottoporsi per prevenire il tumore alla mammella: «I più diffusi sono ecografia e mammografia. Danno informazioni dirette sull’organo senza dover arrivare all’analisi del dna e sono utilissimi per una diagnosi precoce che, come ben sappiamo, nelle patologie tumorali è fondamentale per una terapia efficace». Ma in linea di massima l’approccio da prediligere è quello di valutare ogni singolo caso.