I mercati ieri hanno consegnato alle cronache finanziarie una giornata da dimenticare con le principali borse europee in calo di circa il 3% e quelle americane di circa il 2%. Gli investitori cominciano a guardare a questa fase con molta cautela e, evidentemente, non sono tranquilli a questi livelli dei listini stante la situazione attuale. È vero che veniamo da rialzi duraturi e ampi, ma il calo non è da sottovalutare soprattutto per la sua dimensione. I mercati da mesi salgono perché gli investitori, a torto o a ragione, si sono convinti di due cose: che le banche centrali continueranno a sostenere la ripresa con immissioni di liquidità e che, complici le vaccinazioni, si proceda verso una normalizzazione o comunque verso una convivenza con il virus che salvaguardi l’economia.
È su questo secondo presupposto, con la “variante delta”, che si cominciano a nutrire dubbi. Il numero dei contagi è molto superiore a quello di dodici mesi fa e le ospedalizzazioni, nonostante siano ampiamente entro i limiti di emergenza, sono superiori a quelle del 2020. Il termometro dei mercati è l’Inghilterra.
Nel Paese di Boris Johnson il numero di vaccinati con una seconda dose è di oltre 36 milioni, eppure il numero di ospedalizzazioni cresce ed è superiore a quello dell’anno scorso quando i vaccini non esistevano. Boris Johnson ha deciso di proseguire con il piano delle riaperture scommettendo che le ospedalizzazioni rimangano entro la soglia di guardia e che la loro crescita rallenti fino ad arrestarsi. Non è un’assunzione banale perché la stagionalità del virus, come abbiamo imparato l’anno scorso, è pronunciata.
Non vorremmo inserirci in una lunghissima serie di previsioni sbagliate, a partire da chi due mesi fa ipotizzava l’imminente riempimento delle terapie intensive, ma il “trend” solleva qualche preoccupazione. L’assunzione dei mercati è che i vaccini incidano sensibilmente sul numero di persone che finiscono in ospedale e che quindi ci si possa permettere di non chiudere, ma su questo oggi non si possono avere certezze.
C’è un altro aspetto fondamentale e cioè il fatto che l’Europa continentale stia decidendo di condizionare le riaperture al possesso di un pass vaccinale. Da un punto di vista strettamente economico questa strada è molto problematica. Ci sono decine di milioni di europei che non hanno fatto neanche la prima dose; significa che se anche improvvisamente decidessero di affrettarsi a fare un vaccino o cambiassero idea servirebbero diversi mesi prima di completare la campagna. Da un punto di vista economico sarebbero mesi persi perché una larga fetta di popolazione sarebbe esclusa, a torto o ragione non ci interessa, dalla “ripresa” fino al completamento della campagna.
Il pass vaccinale si porta dietro un’altra conseguenza economica e cioè tutta la “burocrazia” necessaria per applicare il sistema che graverebbe sugli operatori penalizzando, ovviamente, i più piccoli. Sottolineiamo che la grande maggioranza degli Stati americani, incluse anche alcune roccaforti democratiche, in questo momento è lontanissima da qualsiasi ipotesi di pass vaccinale.
I mercati, quindi, osservano con preoccupazione l’andamento dei positivi e la crescita delle ospedalizzazioni in un Paese, il Regno Unito, dove il 60% della popolazione ha già fatto due dosi e dove tre quarti almeno una. Gli investitori osservano anche con preoccupazione l’introduzione di un pass vaccinale come condizione per la riapertura perché ci vorrebbero mesi per includere la totalità della popolazione e perché i costi burocratici sono tanti e difficilmente calcolabili. Questo nell’ipotesi che il pass vaccinale non richieda mai una terza dose allungando ulteriormente i tempi e aprendo uno scenario di lockdown periodici e strutturali mentre si completano i richiami.
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