In Gran Bretagna i contagi sono in calo ormai da qualche giorno, dopo il picco di oltre 200mila positivi registrato martedì scorso: gli ultimi dati parlano di 146.390 infetti rispetto ai 178.250 del giorno precedente. Il rallentamento è abbastanza netto, così come si registra un certo decongestionamento degli ospedali e delle terapie intensive. Proprio il Regno Unito, assieme alla Spagna, potrebbe essere il primo paese in cui la variante Omicron potrebbe rendere il Covid endemico, al pari di un comune raffreddore.



“Spero che saremo una delle prime grandi economie a mostrare al mondo come si passa dalla pandemia all’endemia, e poi affrontarla per quanto tempo rimarrà con noi, che siano cinque, sei, sette o dieci anni”, ha dichiarato il Segretario di Stato all’Istruzione, Nadhim Zahawi, fino allo scorso settembre responsabile del programma di vaccinazione. Come è stato possibile raggiungere questo risultato? Sono state adottate misure particolari? Lo abbiamo chiesto a Leonardo Maisano, ex corrispondente da Londra per Il Sole 24 Ore.



Nonostante il tragico record dei 150mila morti da inizio pandemia, nel Regno Unito si inverte la curva: i casi sono in calo da giorni. Che cosa sta succedendo?

I contagi sono effettivamente in calo, ma ancora elevati. Gli esperti però sostengono che potrebbe essere l’inizio di una forma di immunità di gregge.

Merito anche della campagna vaccinale?

Attualmente siamo al 90% di popolazione che ha ricevuto la prima dose, mentre l’80% ha fatto la seconda iniezione e il 65% circa ha già ricevuto il booster.

Come si presenta il trend dei decessi?

Il numero dei morti è relativamente più basso di quello registrato in Italia, anche perché la popolazione qui è mediamente più giovane.



Che misure sono state adottate?

Nessuna misura particolare, le attività sono aperte.

Tutte le attività sono aperte senza restrizioni particolari?

C’è forte attenzione negli uffici e sui mezzi pubblici, mentre bar e ristoranti sono aperti e possono chiedere ingressi scaglionati. Ma non sono in tantissimi a farlo.

E le scuole?

Tutte aperte.

In Gran Bretagna è stata usata una politica di tamponi rapidi molto estesa. Questo ha ovviamente determinato un numero più alto di casi positivi scoperti, ma ha favorito anche il tracciamento e il sequenziamento?

Indubbiamente. Il test di massa è stato un elemento caratterizzante l’attività di prevenzione. Nel Regno Unito si è sempre eseguito un numero elevato di tamponi, con un attento esame sulle origini del virus e delle sue varianti. La variante inglese, per esempio, è stata chiamata così non perché fosse nata in Inghilterra, ma proprio perché in Inghilterra è stata individuata per la prima volta.

I test rapidi sono gratuiti?

Sì, si possono trovare in farmacia, basta essere iscritti al servizio sanitario nazionale inglese. E si invita la popolazione a eseguirli con continuità, c’è una campagna di informazione battente: sul sito della Bbc, per esempio, si trovano tutte le indicazioni utili per fare il Covid test, non sull’uso delle mascherine, che qui sono più “occasionali” che in Italia. Ma c’è un aspetto critico.

Quale?

Quando si torna in Gran Bretagna, dopo due giorni nel proprio domicilio si deve fare un test prenotato online. Il kit arriva a casa, poi lo si spedisce via posta ai centri di analisi e il referto viene comunicato sempre online. Il problema è che questo è diventato un grande business, inevitabile in un periodo di pandemia, ma il kit è arrivato a costare anche 50 sterline a testa. Forse era il caso di regolamentare questa procedura.

Londra però si appresta a eliminare i test gratuiti per la popolazione, un programma che finora è costato più di 6 miliardi di sterline di denaro pubblico, perché – come ha ricordato il Segretario di Stato all’Istruzione, Nadhim Zahawi, fino allo scorso settembre responsabile del programma di vaccinazione, la speranza è che “saremo una delle prime grandi economie a mostrare al mondo come si passa dalla pandemia all’endemia”. Come viene vissuto questo possibile passaggio?

Gli inglesi vengono sì informati, ma non accade come in Italia dove ogni giorno ci sono pagine su pagine dedicate al Covid. La pandemia non suscita così tanta attenzione, direi che viene quasi ignorata: le informazioni vanno cercate. Gli inglesi stessi ne parlano poco, è un tema che non li appassiona e c’è la volontà di renderlo un fenomeno con cui convivere. Ieri, ad esempio, sulla home page della Bbc campeggiavano altre notizie, a partire dal caso Djokovic, non i dati sul Covid, relegati a fondo pagina.

Gli ospedali sono sotto pressione?

Sono sotto pressione soprattutto per la mancanza di personale sanitario che si è contagiato con la Omicron, prevalentemente negli ospedali di Londra.

Boris Johnson è stato spesso criticato per come ha gestito la pandemia. E oggi che si intravvedono i primi segnali di inversione della curva?

In questo momento le critiche stanno cominciando a diminuire. Finora però la gestione Johnson è stata assolutamente negativa, con ricadute sulla sua popolarità.

Perché negativa?

E’ vero che il Regno Unito è senza dubbio il primo paese a vedere un calo dei contagi dovuti alla variante Omicron, così come è stato il primo in Europa a lanciare una campagna di vaccinazione a tappeto, ma è stato anche il paese che non ha capito quello che stava succedendo.

In che senso?

Quando in Italia è esploso il Covid a inizio 2020, in Gran Bretagna avevano tutto il tempo per mettere in campo delle misure di prevenzione e non lo hanno fatto, per un grave errore politico di Johnson e per un grave errore di presunzione dell’intero paese, guardando con sufficienza quello che stava accadendo al di là della Manica. Poi è arrivato lo tsunami, con la difficoltà a fare marcia indietro, se non su una cosa: la campagna vaccinale che qui è partita con un’ottima organizzazione e in tempi molto rapidi, Poi hanno rallentato e sono stati ripresi da altri paesi, Italia compresa.

Quanto si è speso finora per contrastare il Covid? C’è dibattito pubblico su questo aspetto?

Si discute di quanto è lievitata la spesa pubblica e si discute sull’impatto di rallentamento che la pandemia ha avuto sull’economia in generale, anche se ora siamo in una fase di rimbalzo. E poi c’è anche l’effetto Brexit che un po’ confonde le cose. Gli economisti prevedono comunque che il Regno Unito sul medio periodo pagherà il prezzo di questa doppia congiuntura.

(Marco Biscella)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori