L’Agcom ha da poco pubblicato i dati dell’Osservatorio delle Comunicazioni relativi ai primi nove mesi del 2023. “Nel settore televisivo – segnala il rapporto – gli ascolti medi giornalieri dei primi nove mesi dell’anno (gennaio-settembre) mostrano, rispetto al corrispondente periodo del 2022, una flessione del 2,8% nell”intero giorno’ (da 8,31 a 8,07 milioni di spettatori); un simile andamento (-2,5%) si registra anche per la fascia oraria del ‘prime time’ (da 19,12 a 18,64 milioni di spettatori). Ampliando l’arco temporale dell’analisi si segnala come, rispetto al corrispondente valore dei primi nove mesi del 2019, gli ascolti del 2023 si siano ridotti, nella fascia ‘prime time’ e nel ‘giorno medio’, rispettivamente di 2,31 milioni di unità (-11,0%) e 0,94 milioni (-10,4%)”.
Il rapporto prosegue con una massa di dati particolarmente interessanti per gli addetti ai lavori, mentre qui ci vogliamo soffermare sul fatto che negli ultimi quattro anni si è confermato il trend della riduzione complessiva degli ascolti e sulle relative cause.
Pesa sicuramente la questione demografica, molto importante anche per la stampa: si riduce la platea degli anziani, grandi consumatori di tv e giornali, che vengono rimpiazzati da un pubblico abituato ad altri tipi di consumo mediatico.
Ben più rilevante la questione dei cosiddetti contenuti: sono tanti, troppi anni che la tv non si rinnova più, perché affetta da una grave patologia: la coazione a ripetersi. Perché cambiare ciò che ha funzionato? Questo pensano sicuramente i dirigenti televisivi, quando alle dieci di ogni mattina analizzano ansiosamente i dati di ascolto. Cambiare format o conduttori è una bella responsabilità, visto che gli attuali hanno finora garantito, seppure con dei cali, il richiamo del pubblico e la raccolta della pubblicità. Quando i cali si faranno più evidenti, allora si cercherà di correre in fretta ai ripari, ma, essendo in ritardo si rischierà quasi sicuramente di fare, proprio per la fretta, i famosi gattini ciechi.
C’è una vecchia legge del marketing che afferma come sia urgente e necessario, nel momento in cui un prodotto o un servizio sono al massimo del loro successo, mettersi a studiare come sostituirli. Legge che dovrebbe valere anche per i programmi televisivi. Ma dato che i budget sono sempre più risicati, se già mancano le risorse per la produzione quotidiana, dove mai si possono trovare quelle per la sperimentazione? Alla fin fine, in tv si viaggia allineati all’andazzo del Paese, che spende l’1,5% del Pil per la ricerca.
E poi non è solo questione di soldi. Nel 2007 i quotidiani venivano letti da 2/3 degli italiani, oggi lo sono solo da 1/3 e il continuo calo non è compensato dai lettori degli articoli on-line. Eppure i loro direttori, responsabili di un simile disastro editoriale e commerciale, sono costantemente invitati a dirci come va il mondo e cosa dovremmo pensare nei talk show sempre uguali a se stessi…e anche questo è uno dei motivi del progressivo calo degli ascolti.
Ma ci sono anche altre spiegazioni. La platea complessiva da un lato si ringiovanisce, dall’altro si frammenta dividendosi su altre offerte, e così si spiega la tenuta dei canali tv 8 e 9. Non scendono se non di poco le principali piattaforme on line, anche grazie alla crescente abitudine di comprare on-line e di stare in rete, mentre è da rilevare il successo di TikTok, Instagram e di X (il nuovo nome di Twitter acquistato da Elon Musk).
Pur resistendo alla concorrenza di Disney+ e Prime Video, Netflix sta fronteggiando (ma è un fenomeno collettivo) un progressivo calo delle ore di permanenza sulle piattaforme degli spettatori. Sarà perché non ci sono più grandi produzioni come Il Trono di Spade o Mad Men, mentre crescono le copie delle copie, realizzate con sempre minori investimenti, sia autorali che economici.
Si può anche azzardare una spiegazione per il calo d’attenzione verso l’offerta informativa dei tg e delle all-news, inclusa quella di Sky: dall’inizio della pandemia tutta l’informazione si è omologata intorno a un pensiero unico a dir poco asfissiante, e così e successo e succede per le guerre in corso, che vengono raccontate secondo i desideri dei padroni del vapore.
Ma dato che prima o poi la realtà oggettiva si incarica di insinuare il dubbio che le cose siano davvero come vengono raccontate, ecco che un numero crescente di persone smette di seguire l’informazione cosiddetta mainstream, così come smette di andare a votare.
Nel complesso, ci troviamo di fronte a dei gran brutti segnali, che al momento i responsabili editoriali sembrano non cogliere, accontentandosi di dichiarare: “Sì, tu hai vinto la giornata, ma io sono prima nella tale fascia di ascolto” oppure “Tutti stiamo perdendo, ma io sto perdendo meno di te” e lepidezze del genere. Lo confermano i titoli della stampa: “Mediaset esulta: per la prima volta un sorpasso storico sulla Rai“. “Rai, un 2023 da record: le tre reti generaliste vincono la gara degli ascolti”.
Che dire? Il lupo perde il pelo ma non il vizio.
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