A inizio settimana l’Istat ha diffuso le stime preliminari della povertà assoluta relative al 2021, dalle quali emerge che senza la crescita dei prezzi al consumo, l’incidenza della povertà assoluta sarebbe stata inferiore e non stabile rispetto all’anno precedente. Se pensiamo alla recente fiammata inflattiva e al suo più che probabile acuirsi a causa della guerra in Ucraina che conseguenze concrete si possono immaginare per le famiglie italiane quest’anno? «Fondamentalmente – risponde Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano – un aumento della disuguaglianza di fatto tra le condizioni di chi ha un reddito familiare più o meno elevato e chi invece ne ha uno basso. Del resto la forbice in termini di potere d’acquisto si è già ampliata».
Da cosa si lo si capisce?
Le stime sulla povertà assoluta sono state fatte sulla base dei consumi e nel testo diffuso dall’Istat si legge che “la spesa mensile cresce del 4,7% (+2,8% al netto dell’inflazione), con evidenti differenze tra le famiglie più abbienti (+6,2%) e quelle meno abbienti (+1,7%)”. Si potrebbe anche essere quanto meno portati a pensare che chi è più abbiente abbia un’inflazione più alta di chi è meno abbiente…
Non è così?
No. Purtroppo gli ultimi dati ufficiali Istat risalgono al 2015, ma la misurazione dell’inflazione per classi di spesa delle famiglie mostra che se dal 2005 al 2015 i prezzi al consumo delle famiglie con i più bassi livelli di spesa, quindi con meno reddito, sono aumentati del 21,6%, nello stesso arco temporale per le famiglie con maggiore capacità di spesa la crescita è stata pari al 18,3%.
È una situazione che è rimasta invariata dal 2015 a oggi?
Con tutta probabilità sì. Basta pensare alle voci di spesa legate alla casa, per esempio alle bollette di acqua, luce e gas, il cui aumento ha un impatto relativamente più elevato per le famiglie con bassi livelli di spesa, cioè con bassi redditi. Di fatto siamo di fronte a uno shock esterno inflattivo, legato certamente al conflitto, ma anche al quadro generale precedente lo stesso, che adesso ormai, ahimè, si sta sempre più incorporando nella inflazione acquisita.
Cosa intende dire?
Che se anche, come è del resto augurabile, si trovasse un accordo in grado di far cessare il conflitto, questa fiammata inflattiva non scomparirà del tutto, ma al massimo si attenuerà: una parte dell’impatto sui prezzi resterà.
Pensando alla situazione di alcune materie prime, quali grano e olio di semi di girasole, che non arriveranno più da Ucraina e Russia, la fiammata inflattiva si farà sentire ancora di più nel carrello della spesa. E se a questo aggiungiamo la probabile frenata del Pil (Istat stima uno 0,7% in meno solo per l’impatto dei prezzi energetici) è plausibile che diminuisca il reddito delle famiglie meno abbienti, più a rischio di perdita del lavoro, con un aggravamento della situazione che ha appena descritto.
Il rischio è quello che si ripete in presenza di shock improvvisi: l’attività produttiva frena coinvolgendo per primi i lavoratori con qualifiche medie o basse, che hanno anche un reddito più basso. Quindi, quando l’impatto ci sarà, i sacrifici toccheranno ai soliti noti. Quello che in questo momento ci possiamo augurare è che vengano messe in campo delle politiche pensando fin da adesso al prossimo inverno: scorte di gas, diversificazione energetica, rigassificatori sono la strada maestra da percorrere a grandi falcate per ridurre quanto più possibile i sacrifici che anni di mancata politica energetica lungimirante ci porteranno.
Ha in mente delle contromisure specifiche per cercare di ridurre le disuguaglianze?
In una fase come quella attuale i sostegni indiretti sono da preferire a quelli diretti. Per fare un esempio concreto, occorre rendere la sanità pubblica un vero pilastro in modo che si possano garantire le cure in tempi utili a chi non ha la possibilità economica di ricorrere agli operatori privati. Lo strumento principe per ridurre le disuguaglianze sono i servizi in natura, ovviamente se forniti bene.
Anziché i sussidi diretti è meglio quindi potenziare i servizi pubblici?
Sì. I servizi in natura, almeno l’istruzione e la sanità, fondamentali in una società civile, devono avere come colonna portante il settore pubblico. Con una gestione decentrata, senza che venga tolta la presenza dei privati, ma con personale di livello. Ci sono tanti modi per aumentare il potere d’acquisto e questo è un modo efficace per farlo. È un riorientamento totale della politica economica: offrire servizi pubblici gratuitamente o a fronte di un piccolo contributo, dando in questo modo reddito aggiuntivo ad alcune fasce sociali, senza che sia monetario.
(Lorenzo Torrisi)
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