La notizia politica, definita addirittura “storica” dai talk-show inutili e da una stampa italiana inconsistente, è stata l’elezione, complicata dai numeri, di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato. Nell’epoca degli algoritmi i cosiddetti “esperti”, sia matematici che politici, non riescono a darsi una spiegazione convincente del perché, non avendo votato i senatori di Forza Italia, La Russa, il candidato di centrodestra, sia passato con 14, 16 o addirittura 18 voti in più non riconducibili alla nuova maggioranza.
Le interpretazioni sono molte e possono equivalere sul piano logico, ma i precedenti non mancano. C’è una sequenza di ripetizioni storiche, quelle avvenute nella “prima repubblica” e quelle che continuano nella cosiddetta “seconda repubblica”. Cioè la repubblica evanescente, quella che di fatto non è mai esistita e si è impoverita sia per via giudiziaria, sia per una riforma che ha ridotto il numero dei deputati e dei senatori.
Passiamo un po’ in rassegna qualche interpretazione fatta sul “voto anomalo” per Ignazio La Russa. La prima potrebbe essere “Molto rumore per nulla”, scusandoci di citare per un simile inghippo William Shakespeare.
Tante volte ci sono stati convergenze e scambi anomali. Nel 1953, il governo di Alcide De Gasperi promosse una legge che dava un premio di maggioranza a una coalizione che avesse superato il 50 per cento dei voti. Era un rafforzamento dell’esecutivo su cui si è discusso per anni. Il Pci e le sinistre, ma anche il Msi e il Partito nazionale monarchico si opposero definendo quella legge “legge truffa”. In quella occasione, quando poi si andò a elezioni politiche, la cosiddetta “legge truffa” non scattò ma scattarono incredibili convergenze.
Ricordavano alcuni comunisti come Giulio Seniga, segretario di Pietro Secchia, poi uscito a sinistra dal Pci, che Giancarlo Pajetta, allora direttore dell’Unità, e Giorgio Almirante, che faceva parte della direzione del Secolo d’Italia, concordavano per telefono i titoli da fare, da sinistra e da destra, contro la legge in questione. La Liberazione era avvenuta solo otto anni prima e non c’era alcuna convergenza ideologica o ideale, ma solo una convenienza reciproca. Politicamente un po’ squallida.
Se si dovesse fare la storia poi dei “colpi di scena” al Senato e alla Camera, bisognerebbe scrivere un libro che andrebbe a ruba se fosse veramente documentato. Il libro dovrebbe intitolarsi “Storia dei franchi tiratori”, con un sottotitolo: “chi non è stato franco tiratore alzi la mano”. È questa una storia che è notissima nella politica italiana, che si è vista anche in altri Paesi democratici ma non a livello del Belpaese.
Possiamo poi fare un “passaggio aereo” sul voto segreto alle Camere, che è ancora in discussione per quali esatti casi dovrebbe applicarsi.
Quindi la “sorpresa storica” è una comica da talk-show e basterebbe parlare con Romano Prodi per vederlo ancora oggi impallidire, quando cadde il suo governo nel maggio del 2008 o quando restò letteralmente “impallinato” dalla proposta di elezione a presidente della Repubblica nel 2013 e che costò la segretaria del Pd anche a Pierluigi Bersani.
Quindi “Molto rumore per nulla” si può adattare anche a questo caso, per la sequenza dei casi a a destra e a sinistra.
Ma c’è giustamente una seconda interpretazione. C’è un centrodestra che non appare affatto compatto come si cerca di far credere e c’è sopratutto una sorta di rancore per chi oggi ha la leadership di questo centrodestra. Sia Silvio Berlusconi che Matteo Salvini non hanno fatto salti di gioia per il successo personale, netto, e l’avanzata continua di Giorgia Meloni nelle classifiche di gradimento nell’opinione pubblica. Forse si può creare, per rancori, anche un caso “Licia Ronzulli”, che appare come la nuova “Madame Pompadour”, adattata ovviamente alla politica italiana dei nostri giorni.
Dalle contraddizioni (piuttosto marcate) che esistono nel centrodestra si possono comprendere la fuga dall’aula di Forza Italia e le “parolacce” captate per “Var” (come nel calcio) del Cavaliere. Tuttavia questo non basterebbe ancora a giustificare i voti in più che l’ex “figlioccio” del fascismo ha raccolto in Senato. Guardando le somme, si capisce che l’aritmetica, in questo caso, diventa un’opinione.
Se fossero bastati i voti di Renzi e Calenda, autentici guastatori della sinistra di Enrico Letta, La Russa avrebbe preso meno voti di quelli ottenuti. E c’è pure la possibilità che alcuni voti di destra, oltre a quelli di Forza Italia, non siano confluiti su La Russa. E allora?
Si può avanzare una risposta più logicamente politica. Forse basta aspettare la nomina delle nuove cariche connesse al ricambio delle istituzioni (il Copasir tanto per fare un esempio) e poi leggere i nomi dei nuovi incaricati. Magari si potrebbe constatare che si è fatto un grande baratto, un baratto da ammucchiata tra maggioranza e opposizione per uscire da un impasse che avrebbe complicato la nascita del nuovo governo, che, se si guarda ai problemi italiani, deve nascere al più presto.
Da tutto questo emerge un’altra considerazione: la “questione morale” invocata da sempre e un po’ da tutte le parti, ma sopratutto dalla sinistra perdente, in nome della trasparenza e della chiarezza, è diventata una delle balle più clamorose in questo Paese. Nella votazione (anche quella alla Camera di ieri) sia a destra ma anche a sinistra o nel “terzo polo” (definito con una battuta azzeccata da Claudio Velardi una malattia “senile del comunismo”), la “questione morale” in Italia è stata sempre una comica triste che con la cosiddetta “seconda repubblica” è diventata una comica ancora più triste.
Tutto questo ci fa pensare non alla politica laica, al “fine che giustifica i mezzi”, all’abilità di sapersi muovere e saper manovrare i concorrenti. Tutto questo ci fa pensare al regno dell’ipocrisia e a quello dell’opportunismo. È evidente che una situazione come quella che stiamo vivendo oggi richiederebbe non solo compattezza, ma soprattutto un programma condiviso e la chiarezza sulla realtà della situazione politica, economica e sociale. La sensazione è che invece ci sia soprattutto la ricerca di una condivisione di posti da occupare e non una determinazione nell’affrontare i problemi.
Mentre sono arrivate le elezioni, da quasi un anno si conosceva quali problemi c’erano sul tappeto: dalla questione energetica alle difficoltà economiche create dalla pandemia, alle divisioni che esistono in Europa. Le ultime novità arrivano dal Fondo monetario internazionale che prevede una recessione nel 2023 a livello mondiale, ma inevitabilmente riserva all’Italia mesi più complicati.
E inoltre qualche cosa dovrebbero pur dire i rappresentanti del governo che è stato in carica prima e dopo l’invasione dei russi in Ucraina. È possibile che solo adesso la Banca d’Italia si soffermi sulle difficoltà prossime venture dopo aver parlato di una situazione sotto controllo nella scorsa primavera?
Di fronte a questo tipo di acrobazie politiche e di dichiarazioni che si alternano da una stagione all’altra, si dovrebbe pensare che, tra inflazione, emergenza energetica, riduzione dei consumi, c’è un fiume carsico carico di rabbia che corre sotto il Paese. Se alla fine questo fiume esce in superficie i guai diventano seri e anche gli algoritmi per comprendere i voti delle Camere allontanano ancora di più le persone dalla politica e dalla vita democratica. E forse questo bisognerebbe dirlo con forza invece di giocare agli indovinelli sui voti in Senato. Quelli sono solo la spia, ripetiamo, dell’opportunismo e della confusione.
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