ASSOLTO ATTILIO FONTANA PER IL CASO CAMICI: LA SENTENZA È DEFINITIVA

Non ci sarà alcun processo in Lombardia per il “caso Camici” a danni del Presidente Attilio Fontana: la sentenza in Appello lo vede infatti assolto da ogni accusa, confermando il proscioglimento già richiesto dal gup di Milano Chiara Valori in udienza preliminare lo scorso 13 maggio 2022. La decisione della Corte d’Appello risulta ora definitiva, in quanto la Procura generale milanese – che seguendo il ricorso dei pm aveva chiesto che tutti e cinque gli indagati andassero a processo – non può impugnare la decisione.



La seconda sezione penale della Corte d’Appello di Milano ha dunque confermato la prima sentenza di un anno fa (con le motivazioni che arriveranno entro i prossimi 90 giorni): il Presidente di Regione Lombardia era accusato di frode in pubbliche forniture assieme ad altre quattro persone per il caso Camici che in pandemia Covid aveva conquistato le prime pagine nazionali per settimane. «Non ho mai avuto dubbi su questo fatto e spero che se ne accorgano in tante persone», ha fatto sapere Fontana commentando la sentenza di proscioglimento definitiva, «Sono molto contento, me lo aspettavo ma è sempre una grande gioia vedere che la propria linearità di comportamento sia stata riconosciuta».



CAMICI LOMBARDIA, PERCHÈ FONTANA È STATO PROSCIOLTO ANCHE IN APPELLO

Nella sentenza del 2022 la gup di Milano aveva emesso sentenza sul caso Camici spiegando il «non luogo a procedere perché il fatto non sussiste», tanto per Attilio Fontana quanto per gli altri 4 indagati: il cognato Andrea Dini – titolare di Dama spa – Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl – ex direttore generale e dirigente di Aria (la centrale acquisti regionale) – e il vicesegretario generale di Regione Lombardia Pier Attilio Superti.

Insomma, il fatto non sussiste e non vi fu alcuna frode tale da aprire il processo per valutare le responsabilità degli indagati ora tutti prosciolti: la “trasformazione” da fornitura in donazione alla centrale acquisti regionale dei camici e di altri dispositivi di protezione personale da parte di Dama spa «si è realizzata con una novazione contrattuale che è stata operata in chiaro, portata a conoscenza delle parti, non simulata ma espressamente dichiarata», sentenziò la gup. Non ci fu alcun inganno, anzi «pare difettare in toto la dissimulazione del supposto inadempimento contrattuale». Nacque tutto con la fornitura dell’aprile 2020 da 75mila camici e altri 7mila dispositivi di protezione personale per 513mila euro, affidata a Dama spa, che divenne donazione dopo la consegna di circa 50mila camici (non erano stati più consegnati i rimanenti 25mila): da qui il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e i pm Paolo Filippini e Carlo Scalas contestarono a Fontana e gli altri indagati la frode in pubbliche forniture, spingendo verso il processo.



«Fontana ha patito per tre anni su una graticola e poi oggi è finita così. Siamo stati coinvolti in una vicenda che da un punto di vista penale non aveva nulla, mi spiace per chi ha lavorato per nulla», rileva l’avvocato del Presidente di Regione Lombardia, Jacopo Pensa. Assieme all’altro legale Federico Papa gli avvocati di Fontana si dicono molto soddisfatti: «Ci spiace per il tempo perso e le risorse sprecate. Questa decisione può essere un esempio per la discussione in corso sulla inappellabilità di certe sentenze». Simile il commento dell’avvocato di Dini, cognato del Presidente lombardo: «Dini è un grandissimo gentiluomo, una tra le persone più specchiate che abbia mai conosciuto e del quale mi onoro di essere amico. Ha dovuto affrontare un procedimento lungo e inutile ma quello che rimane è la sua innocenza assoluta e cristallina, che è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano», rileva all’ANSA l’avvocato Giuseppe Iannaccone.