Camila Raznovich racconta la sua infanzia traumatica al settimanale “F”, in un viaggio a ritroso nel tempo che le ha fatto rivalutare gli anni vissuti in comunità tra India, Inghilterra e Milano in cui i bambini erano spesso lasciati in autogestione. Camila, infatti, è figlia di una coppia di seguaci di Osho: ma se fino a qualche tempo fa pensava alla sua infanzia “alternativa” come una ricchezza, al punto da averle dedicato un libro intitolato “Lo rifarei!”, tredici anni dopo ha sentito il dovere di aggiungere una prefazione e di ripubblicarlo. La conduttrice de “Il borgo dei borghi” su Rai 3 racconta:”Non lo rifarei” nasce da una nuova consapevolezza: non è una esperienza che farei fare alle mie figlie. Dopo la gravidanza ho avuto una depressione post partum, che ha aperto un vaso dentro di me da cui è uscito tutto, è stata il pretesto per iniziare un percorso di analisi serio. Lì ho scoperto che il sentirmi inadeguata come mamma nasceva dalle lacune affettive ed educative gravi accumulate nell’infanzia. Non conoscevo la gerarchia familiare base e quindi non sapevo attuarla”.

CAMILA RAZNOVICH, “IO MOLESTATA DA AMICO DI FAMIGLIA”

Camila Raznovich racconta quella che è stata probabilmente l’esperienza peggiore di quegli anni:”Senza dubbio i quattro mesi nella sperduta campagna inglese in un regime militare. Ero in quinta elementare e fui selezionata per questo esperimento che prevedeva che trecento bambini vivessero con nove adulti, questa era la proporzione. Nel libro lo raccontavo quasi divertita: con l’analisi ho capito di esserne stata fortemente traumatizzata tanto che uno dei miei compagni, da grande, mi ha raccontato che piangevo tutte le notti, l’avevo rimosso. Il sentimento più forte che ho provato era la paura”. Ma c’è un altro episodio terribile nell’infanzia di Camila, le molestie subite all’età di 7 anni da un amico di famiglia:”Questo signore, papà peraltro di un mio carissimo amico, mi toccò nelle parti intime mentre guardavo un cartone animato, con la scusa di farmi una coccola. Ricordo la sensazione di bruciore, l’imbarazzo, e poi il senso di colpa, tanto che allora mi augurai che lui non ne parlasse con nessuno. Quando sono cresciuta ho capito che era solo un maledetto pedofilo disturbato e l’ho rimesso al suo posto (…) la mia vita per fortuna non ne ha risentito. È un episodio che mi preoccupa più ora, pensando alle mie figlie”.