Francesco Schiavone detto “Sandokan”, boss del clan dei Casalesi considerato uno degli ultimi irriducibili di Camorra custode di importanti segreti, si sarebbe pentito poche ore fa. Una decisione, quella di diventare collaboratore di giustizia, che sarebbe arrivata dopo 26 anni di detenzione molti dei quali trascorsi in regime di carcere duro. A riportare la notizia, che sarebbe stata confermata dalla Direzione distrettuale antimafia, è stata la testata Cronache di Caserta nella sua edizione cartacea.
Oggi 70enne, trasferito di recente a L’Aquila, Schiavone sarebbe stato colpito da un tumore e nei giorni scorsi, secondo quanto appreso dal quotidiano, le forze dell’ordine avrebbero proposto ai familiari del boss l’accesso al programma di protezione all’esito della svolta con la quale “Sandokan” avrebbe aperto alla collaborazione con la Dda di Napoli. Francesco Schiavone è il secondo capo dei Casalesi a pentirsi dopo Antonio Iovine detto “‘o ninno”, che lo avrebbe preceduto nel 2014. Nel 2018 e nel 2021 si sarebbero pentiti anche i figli di Sandokan, Nicola, detenuto dal 2010, e Walter.
Chi è Francesco Schiavone detto “Sandokan”: la carriera criminale, l’arresto nel 1998 e il 41 bis
Francesco Schiavone oggi ha 70 anni e da qualche ora è emersa la notizia della sua decisione di collaborare con la giustizia, pentito dopo 26 anni trascorsi in carcere. Ha trascorso la maggior parte della detenzione in regime di 41 bis e recentemente è stato trasferito nel penitenziario de L’Aquila. Il suo arresto risale all’estate del 1998, quando fu scovato a Casal di Principe. È considerato uno dei principali custodi dei più importanti segreti della camorra casalese come Francesco Bidognetti alias “Cicciotto ‘e mezzanotte”, altro nome di spicco del clan e per anni suo braccio destro.
Nato il 3 marzo 1954 in provincia di Caserta, fu soprannominato “Sandokan” per via di una vaga somiglianza all’attore interprete della omonima serie tv, Kabir Bedi. Avrebbe preso le redini del clan dei Casalesi dopo la scomparsa del fondatore Antonio Bardellino, avvenuta nel 1988 in circostanze mai chiarite. Schiavone fu condannato all’ergastolo nel maxiprocesso Spartacus e per diversi omicidi. Più volte, senza però conferme, era trapelata l’ipotesi di un suo pentimento. Il boss, come ricostruisce Antimafiaduemila.com, fu condannato per l’omicidio di Antonio Diana, vigile urbano di San Cipriano d’Aversa, ucciso nel 1998. Le indagini e il processo avrebbero appurato che proprio Francesco Schiavone sarebbe stato il mandante del delitto. L’uccisione di Diana sarebbe stato una “risposta” a quella di Michele Russo, uomo vicino al boss Sandokan assassinato dagli uomini di Bardellino nella faida tra i gruppi di Schiavone e del fondatore del clan. Francesco Schiavone si sarebbe convinto che il vigile urbano avesse fatto da “specchiettista“, un ruolo che in gergo appartiene a chi indica ad un commando i movimenti della vittima e quando colpire.