Si torna a parlare attivamente e intensamente in questi giorni – dopo il violento terremoto di magnitudo 4.4 dello scorso 20 maggio, il più forte degli ultimi 40 anni – dei Campi Flegrei, impropriamente definiti come ‘vulcano’ e localizzati nel golfo di Pozzuoli (vicino a Napoli) tre i comuni di Bacoli, Giuliano, Monte Procida, Quarto e la stessa Napoli. La paura nei residenti è altissima perché nel corso dell’ultimo anno sembra che il naturale – e ben noto, oltre che studiato – bradisismo dei Campi Flegrei stia aumentando di frequenza e intensità, aprendo al terribile scenario di una possibile eruzione che – nella peggiore delle ipotesi – potrebbe causare la distruzione completa di Pozzuoli e dei comuni vicini.



Lasciando un attimo da parte il terrore e la preoccupazione, cerchiamo di capire quanto effettivamente è probabile un’eruzione di tale entità, partendo dalla storia e dalla conformazione di una zona che è giustamente ritenuta tra le più pericolose d’Europa. Dicevamo prima che i Campi Flegrei non sono propriamente un vulcano, a differenza dei vicini Vesuvio e Marsili (tra gli altri), perché di fatto sono un campo vulcanico, che si è originato da almeno due violentissime eruzioni di cui si hanno testimonianze geologiche avvenute nel corso degli millenni che hanno dato una forma alla caldera che conosciamo oggi, nonché a parte della stessa Napoli.



Cosa sono i Campi Flegrei e quante possibilità hanno di eruttare

L’ipotesi è che più di 40mila anni fa i Campi Flegrei fossero ben differenti di quelli odierni, probabilmente con un cono vulcanico simile a quello del Vesuvio – ma decisamente più esteso – che è collassato nell’eruzione dell’Ignimbrite Campana: questa è quasi certamente la più violenta eruzione magmatica che si sia mai verificata nel Mediterraneo, tanto che i materiali eruttivi arrivarono fino alla Bulgaria e alla Russia e si suppone che abbia contribuito ad un cambiamento climatico a livello planetario. Seguì poi una seconda eruzione importante – chiamata del Tufo giallo napoletano – circa 15mila anni fa e che diede il via ad un intenso periodo eruttivo che si è concluso solamente nel 1538.



Quest’ultima eruzione lasciò importanti tracce sul territorio napoletano, tra il tufo richiamato nel nome dell’evento – usato poi per costruire buona parte delle case e dei monumenti napoletani – e il materiale accumulatosi per formare il Monte Nuovo (che visto dall’alto ha le caratteristiche di un vulcano, ma senza la camera magmatica). In tutta la storia dei Campi Flegrei si ha sempre avuto testimonianza del bradisismo – al quale abbiamo dedicato un approfondimento a parte – che oggi sta causando il nuovo sciame sismico, ma gli esperti dell’Ingv sono concordi che non ci siano segnali di una imminente eruzione, con l’ulteriore rassicurazione che – nella peggiore delle ipotesi – sarebbe un evento di taglia media o minore, ben lontano dal Tufo giallo o dall’Ignimbrite: l’intera Pozzuoli, e anche Bacoli, Monte di Procida e Quarto verrebbero distrutte, ma Napoli non sarebbe coinvolta.

Oltre ai Campi Flegrei, occhi puntati su Vesuvio, Marsili ed Epomeo

Con la terra che torna a tremare sotto i piedi dei napoletani molti si sono chiesti se dai Campi Flegrei potrebbe originare un terremoto in grado di risvegliare i vicini vulcani, con gli occhi puntati in particolare sul Vesuvio, ma anche sul vicino e spesso ignorato Marsili, e non da meno su Ischia, isola costruita attorno ad una struttura vulcanico-tettonica – in Monte Epomeo eruttato l’ultima volta nel 1302 – originata proprio da un’intensa attività vulcanica dei Campi Flegrei.

I rischi in tal senso sono veramente esigui per via della particolare conformazione della camera magmatica – che si estende dalla Toscana fino alla Campania -, che pur essendo unica tra i vari vulcani citati non ha alcun collegamento diretto tra loro. Il Vesuvio, infatti, non ha mai dato segni di cedimento o di eruzioni collegate al bradisismo o ai terremoti ai Campi Flegrei; mentre l’Epomeo ischitano è considerato quiescente e l’attività magmatica al suo interno è piuttosto esigua ed – infine – il Marsili non desta alcuna preoccupazione negli esperti perché trovandosi a circa 500 metri sotto il livello del mare anche se eruttasse non riuscirebbe a superare la spessa coltre di acqua e al più potrebbe portare in superficie un accumulo di pietra pomice.