Il Canada è dal dicembre 2018 che ha interrotto i “normali” legami bilaterali con la Cina, ovvero dal giorno dell’arresto dell’alto dirigente di Huawei attuato da Ottawa su mandato Usa: la guerra diplomatica è proseguita per tutto il 2019 e pure nel 2020, con l’arresto in Cina di due cittadini canadesi e il blocco delle importazioni molto redditizie dei semi di colza. Il dramma – ancora in corso – a Hong Kong ha poi scatenato lo scontro finale tra il Governo liberal di Trudeau e il Partito Comunista cinese, con l’escalation che ha portato nel luglio scorso il Canada a sospendere per prima il trattato di estradizione con Hong Kong sulla scia della nuova legge ‘bavaglio’ cinese sulla sicurezza nazionale. E infine all’inizio di novembre è stato lo stesso Governo Trudeau a promettere ai giovani della città-stato sotto l’egida di Pechino di poter venire a studiare e lavorare in Canada: eppure, davanti ai tanti input “pro-diritti” avanzati da Ottawa, le parole pronunciate ieri dal Ministero degli Esteri sono sembrate in netta “controtendenza” alla linea dura imboccata dal Premier Trudeau.



“NON USARE TONI DURI CON LA CINA”

«È da irresponsabili mantenere toni duri con la Cina, è inutile. A coloro che sono sedotti da questa visione unidimensionale dico questo: mentre è facile essere duri, continuiamo ad essere intelligenti», a parlare è il Ministro degli Esteri canadese Francois-Philippe Champagne che invita alla linea diplomatica “morbida” per il Paese entrato da poco, incredibilmente, nel Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu. Il potere economico della Cina e il ruolo centrale nella lotta al cambiamento climatico, spiega ancora il Ministro, “invitano” a mantenere toni saldi ma non irresponsabili nei confronti della Cina. «Non cadiamo nella tentazione di una retorica dura e irresponsabile che non genererà risultati tangibili»: tradotto, lo scontro muro contro muro con Pechino potrebbe avere ripercussioni ingenti sugli agricoltori e imprenditori canadesi, sugli stessi difensori dei diritti umani a Hong Kong e in Cina. Per questo motivo, conclude Champagne, il Canada continuerà a lavorare con gli alleati occidentali per fare pressione sulla Cina per la detenzione di cittadini stranieri, le repressioni in Hong Kong e in Xinjiang, ma senza «discorsi duri». Il mercato (e il rischio di “ricatto” cinese) viene prima dei diritti: e attenzione, la linea del Canada non è altro che lo specchio di quanto finora Ue, Nato e Onu hanno mantenuto nei confronti della Cina.

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