“CANCELLARE LA CULTURA NON FA VINCERE LA GUERRA”
«Cancellare la cultura non fa vincere alcuna guerra»: la giornalista e scrittrice di sinistra Natalia Aspesi fa il “pelo e contropelo” a quella richiesta cancel culture che in queste settimane, seppur per “nobili motivi”, si sta abbattendo su qualsivoglia elemento della storia e cultura russa.
Stare con il popolo dell’Ucraina attaccato e invaso dai carri armati russi non significa boicottare il cinema, la cultura, la letteratura del bimillenario e sconfinato: in questo senso, spiega Aspesi su “La Repubblica”, l’esempio illuminante della giusta battaglia contro la cancel culture arriva da un artista ucraino, ovvero il regista ucraino Sergei Loznitsa. Nei giorni in cui il mondo dello star system discuteva a livello mondiale sulla presenza o meno del Presidente Zelensky alla Notte degli Oscar (alla fine non ha presenziato, ndr), il cineasta nato 58 anni fa nella Bielorussa sovietica, oggi residente in Germania, veniva cacciato dalla Ukrainian film Academy. Il motivo? «Aver espresso parole di solidarietà al popolo ucraino, troppo conformiste, blande, inefficaci»; con questi motivi veniva espulso dal cinema ucraino, ma Loznitsa non si è dato per vinto e annunciando le sue dimissioni (per protesta) dall’European Film Academy ha dichiarato «Io sono e sarò sempre un regista ucraino». L’artista – come ben spiega Aspesi – ha avuto la colpa di opporsi al preteso boicottaggio del cinema russo, scatenato per protesta contro l’invasione di Putin in Ucraina.
NATALIA ASPESI ESALTA IL REGISTA UCRAINO CHE NON BOICOTTA I RUSSI
«L’Academy ucraina che sin dall’inizio della invasione aveva chiesto al mondo di boicottare il cinema russo, ha ritenuto inaccettabile che il collega si opponga pubblicamente a questa iniziativa, nata dalla certezza che tutti i russi abbiano una responsabilità collettiva verso l’invasione», commenta Natalia Aspesi lodando invece la scelta di opporsi a questo “mainstream” tipico da “cancel culture” del regista ucraino.
Loznitsa già diversi anni fa si era schierato contro la decisione del comitato del cinema ucraino sull’inviare per gli Oscar solo film in lingua ucraina o tatara, dato che oltre il 30% degli ucraini è di origine russa, ungherese, greca o ebraica. La storia non si può cancellare e il regista ucraino lo ha fatto più volte vedere nelle sue opere: come in “Austerlitz” dove viene raccontata la assurda mercificazione del turismo di massa ad Auschwitz, o ancora di più con “Babi Yar: Context” dove viene raccontato il massacro di più di trentamila ebrei nel 1941 alle porte di Kiev con la collaborazione tra nazisti e polizia ucraina. «La Storia non si cancella anche se la cancel culture lo pretende, e forse tra le colpe imputate al regista è questo voler ricordare (ma il film è precedente alla guerra, quindi è innocente), la verità del passato», spiega la Aspesi compiendo paragone con quanto avvenuto in Italia con l’assurda (tentata) censura sul corso di Dostoevskij in Università. E così a Loznitsa viene imputato di opporsi alle richieste di boicottare la Russia, come ha spiegato lui stesso nella recente intervista al giornalista Usa Graham Fuller: «Putin non è Hitler, non è Stalin, due tiranni venuti dal nulla e saliti al potere massacrando i loro sodali. Putin è un fantoccio manovrato da altri, pronti a sostituirlo quando sarà necessario».