Gli oncologi italiani sono d’accordo, l’immunoterapia è di certo una svolta indiscutibile per alcuni tipi di tumori, ma non è di certo “il Santo Graal”. A sottolinearlo, in una lettera a commento agli studi sul mesotelioma, sono Pierpaolo Correale, Francesca Pentimalli, Valerio Nardone, Antonio Giordano e Luciano Mutti, che partendo dall’analisi di un articolo che riporta i risultati del trial di fase 3 Confirm su nivolumab hanno sottolineato che “non ci sono dati a sostegno del fatto che nivolumab o pembrolizumab come agenti singoli funzionino meglio della chemioterapia convenzionale (anche subottimale)”.
Il monito lanciato dagli esperti, autori di una lettera scientifica pubblicata su Lancet Oncology, è che non si scada in toni miracolistici e approvazioni affrettate. “Nessuno degli attuali trattamenti in questo ambito è superiore (in particolare Ici vs chemioterapia), perché la sopravvivenza dei pazienti ai diversi regimi terapeutici considerati è la stessa. Ciò nonostante siamo costernati nel notare come i risultati siano spesso distorti e fuorvianti nelle descrizioni che arrivano al grande pubblico. Questo è irrispettoso verso i pazienti e verso la verità”.
CANCRO E IMMUNOTERAPIA, IL MONITO
Nella lunga lettera scientifica pubblicata su Lancet Oncology i cinque firmatari ammoniscono: “”Senza dubbio quello dello studio Confirm è un disegno piuttosto unico. Per il braccio di controllo in primo luogo, perché i pazienti in trattamento con nivolumab vengono confrontati con pazienti ai quali è stato somministrato placebo. Ciò solleva una profonda preoccupazione etica, perché è chiaro che a un gruppo di pazienti è stato negato qualsiasi trattamento. Non sorprende che nivolumab sia leggermente superiore al placebo, ma un disegno dello studio scientificamente valido avrebbe dovuto confrontare nivolumab con il trattamento standard di seconda linea“.
“E’ chiaro che la procedura per l’approvazione di nuovi farmaci necessita di una rivisitazione. In particolare le approvazioni ‘fast track’ devono essere seguite da solidi studi di conferma, altrimenti il rischio di ritiro ritardato (sempre che avvenga) finisce per danneggiare i pazienti esposti a tossicità inutile. D’altra parte approvazioni affrettate obbligano i sistemi sanitari a sostenere l’urto di costi esorbitanti dei nuovi farmaci antitumorali” sottolinea Antonio Giordano, direttore Sbarro Insitute for Cancer Research and Molecular Medicine Temple University e docente all’Università di Siena. “Se si considera che a volte le approvazioni precipitose influenzano le linee guida e alcuni Paesi (come l’Italia) fanno riferimento alle linee guida quando un medico viene chiamato in causa per negligenza, diventa facile capire – ammonisce – quanto sia fondamentale attenersi alle evidenze scientifiche di sperimentazioni cliniche concepite nell’ottica di rispondere ai bisogni dei pazienti” ha concluso.