Agli inizi di dicembre il Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio ha diffuso la sua relazione annuale sullo stato delle varie dipendenze in Italia nell’anno 2018. Nonostante l’evidente drammaticità del quadro descritto da un ente istituzionalmente dedicato alla prevenzione e al monitoraggio delle tossicodipendenze, e collocato a Palazzo Chigi, sotto la stretta area di influenza del Presidente del Consiglio, la relazione è stata accolta nell’indifferenza generale. Indifferente il mondo della comunicazione, telegiornali compresi, indifferente il governo. Probabilmente ben pochi dei nostri ministri, sia Pd che M5s o Leu, né conoscono i contenuti e forse neppure sanno della relazione. In modo paradossale la maggioranza in Parlamento rispondeva al grido d’allarme della relazione con la proposta di un inusuale emendamento in legge di bilancio, che proponeva di liberalizzare la droga usando l’espediente della maggiore o minore concentrazione di principio attivo nei prodotti di libera vendita.



L’emendamento canaglia, che qualcuno aveva voluto inserire surrettiziamente nell’unica notte dedicata alla discussione della legge in Senato, approfittando del sonno della ragione di gran parte della Commissione, è stato poi stoppato solo dal coraggio, dalla determinazione e, cosa fondamentale, dalla rigorosa competenza tecnico-professionale della presidente Casellati.



Oggi però emerge un fatto nuovo con una storica sentenza della Cassazione: la coltivazione di cannabis in casa non è reato… purché siano poche piante, si parla di dimensioni minime, coltivate con tecniche rudimentali.

Sembra una questione di ordinaria amministrazione, rispetto al grande business della droga e all’enorme giro di affari che ruota dietro quello che si vuole far apparire come un semplice appello alla libertà individuale. “Se io voglio farmi una canna, chi sei tu per impedirmelo!”

Né il magistrato che ha firmato la “storica” sentenza, come tutta la stampa oggi la definisce, sembra minimamente preoccupato dell’escalation dei drammi individuali e collettivi che accompagnano uso e abuso di droga. Né sembra che ci sia la pur minima risonanza rispetto al dibattito in corso nel paese sulla legalizzazione della cannabis. Oggi la cassazione con la sua sentenza cancella con un colpo di spugna un ostacolo alla droga-fai-da-te. Scavalca il Parlamento, lo sostituisce nelle sue funzioni e autorizza i colleghi della maggioranza a chiedere la velocizzazione nella approvazione del ddl sulla liberalizzazione della droga. Un iter facilitato, legittimato dall’intervento della Cassazione.



La sentenza, in realtà, mentre sembra voler normalizzare l’uso della cannabis, non tiene in alcun conto l’ultima relazione del Dipartimento per le politiche antidroga appena consegnata al Parlamento. Le tossicodipendenze sono in drammatico aumento e la cannabis è la sostanza più diffusa in assoluto. La diffusione raggiunge un terzo della popolazione giovanile: il 33%, che corrisponde a circa 900mila tra ragazzi e ragazze di cui 150mila sotto i 15 anni sono a rischio iniziazione.

L’attuale azione di prevenzione è del tutto inadeguata e i luoghi abituali dello spaccio sono ormai collocati nelle scuole e dintorni, senza che nei ragazzi emerga alcun senso di colpevolezza. Mentre sono evidenti le conseguenze dell’uso e dell’abuso di droghe ormai assunte in formato mixato con altre droghe sintetiche. Difficili da riconoscere nei vari prelievi, ma facili da identificare nei comportamenti, che vanno dalla perdita di velocità nei riflessi all’aggressività.

La relazione si sofferma in forma asciutta ma eloquente sul crinale che trascina i giovani verso droghe sempre più pesanti; ma mette in evidenza anche i danni neurologici ormai confermati da numerosissimi studi dell’uso prolungato di cannabis, anche nella sua forma di apparente semplicità. Poche canne al giorno, quasi tutti i giorni per settimane, per mesi e a volte per anni. Né giova al mancato trattamento di disintossicazione, che sarebbe necessario ed efficace se attuato agli inizi delle dipendenze, l’ignoranza in senso letterale dei meccanismi d’azione delle droghe. L’alone ideologico che ancora circonda l’uso delle droghe; l’immagine di una trasgressività innocente ed innocua; una sorta di iniziazione che comincia a scuola per sentirsi grande e accettato dai grandi; ma soprattutto la cultura del diritto individuale all’autodeterminazione, in una infinita battaglia di libertà senza responsabilità, tutto concorre a giustificare uso ed abuso.

Ma la colpevole ignoranza degli adulti e lo scarso coraggio ad educare sono due tra i fattori più insidiosi di cui parla la relazione, senza che la Cassazione nella sua sentenza ne tenga alcun conto. Tra l’altro in 30 anni la concentrazione di principio attivo nella cannabis, il famoso Thc, che i giovani consumano si è più che raddoppiata, come diretta conseguenza della dipendenza sopravvenuta e dell’assuefazione che richiede concentrazioni sempre maggiori per ottenere effetti simili sul piano del gusto, ma effetti moltiplicati sul piano neurologico. La relazione del Dipartimento antidroghe analizza anche i costi di questa vera e propria epidemia e segnala i costi dovuti ai ricoveri ospedalieri, tra cui anche i costi legati agli incidenti stradali, che non poche volte culminano con i decessi, come è accaduto pochi giorni fa alle due amiche a Ponte Milvio.

La convenzione sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Onu il 20 novembre del 1989, ossia poco più di 30 anni fa, recita testualmente: “Gli Stati parti adottano ogni adeguata misura, comprese misure legislative, amministrative, sociali ed educative per proteggere i fanciulli contro l’uso illecito di sostanze stupefacenti e di sostanze psicotrope, così come definite dalle Convenzioni internazionali pertinenti e per impedire che siano utilizzati fanciulli per la produzione e il traffico illecito di queste sostanze”. Il governo attuale si appresta a fare esattamente il contrario, in nome di un principio di libertà che ignora la più elementare delle forme di prevenzione: quella legata al principio di precauzione e al principio responsabilità, per dirla con Hans Jonas.

E così come è avvenuto con l’eutanasia si spalanca la strada alla liberalizzazione delle droghe scavalcando il Parlamento o meglio obbligandolo a rincorrere principi devastanti per la salute e il benessere di un Paese. Oggi nella maggioranza di governo sembra prevalere una logica schizofrenica tra chi auspica la legalizzazione della droga e chi ne denuncia gli effetti drammatici. Un disastro annunciato in un governo che, con la noncuranza di una certa magistratura, non ha nessuna cura delle sue generazioni più giovani e le spinge gradatamente verso un abisso da cui è davvero difficile farle riemergere.