L’autorizzazione all’uso delle droghe, soprattutto delle cosiddette droghe leggere, nel nostro Paese è tra i più divisivi e marca una frontiera ben poco valicabile tra maggioranza e opposizione. Per cui quanto accaduto alla Camera sulla cosiddetta cannabis light questa settimana rientra nella prassi di un’opposizione fortemente ideologica in cui si può dire di tutto, purché non si ascolti l’avversario. L’oggetto del contendere è sempre lo stesso: da una parte una tutela della libertà che non accetta suggerimenti e che non si ferma neppure davanti alle evidenze scientifiche, dall’altra un approccio che, senza avere nulla di paternalistico, intende però richiamare soprattutto i più giovani alla prudenza e alla consapevolezza sulla base di istanze concrete. L’obiettivo è non compromettere né la loro vita né quella degli altri.



I problemi, ad una prima analisi, sembrano due.

Il primo è cercare di capire in che rapporto stanno la classica marijuana, quella che gli adolescenti consumano con facilità, procurandosela per vie tutt’altro che legali, e la nuova cannabis light, intorno alla quale è nato un commercio fatto di prodotti che esplorano vie di somministrazione apparentemente ingenue e attrattive, che vanno dalle caramelle al gelato, in cui la concentrazione del delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) è andata progressivamente aumentando dal 2016 ad oggi.



Il secondo problema va oltre gli aspetti ludico-diversivi e tocca il tema della libertà nel più paradossale dei modi: la libertà di scegliere, di decidere, di disporre di sé e quindi di consumare quel che voglio, e la consapevolezza che più consumo questi prodotti e più diminuisce la mia stessa libertà perché si sviluppano fattori di dipendenza, che non di rado limitano la percezione che ho dei miei confini personali e mi espongono al rischio di incidenti, più o meno gravi, a volte mortali. Come confermano molte statistiche relative a quanto accade sulle nostre strade.

Negli ultimi anni abbiamo visto affermarsi una linea sempre più accondiscendente verso la cannabis, con l’intento di facilitarne uso e consumo. Il Governo Meloni, davanti ad una diffusione crescente, in forme sempre più sofisticate, ha voluto segnalare un’esplicita stretta, a tutela della salute dei più giovani. Un anno fa, il 22 settembre 2023, un decreto aveva limitato sensibilmente le possibilità di acquisto dei “prodotti da ingerire” a base di cannabidiolo (CBD), mentre era possibile l’acquisto di cannabis light da fumare. Ora la sostanza potrebbe anche essere vietata integralmente. Due giorni fa le commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera, con uno specifico emendamento, hanno equiparato la cosiddetta cannabis light alla classica marijuana. Esattamente come accadeva fino a pochi anni fa, quando una riduzione della concentrazione di tetraidrocannabinolo al di sotto di un determinato livello aveva indotto a credere che tra i due prodotti ci potesse essere una differenza sostanziale. Cosa che nel tempo si è rivelata poco credibile.



La nuova normativa, approvata in Commissione, ma non ancora giunta in Aula per l’opposizione di una sinistra quanto mai agguerrita, proibisce il commercio, la lavorazione e l’esportazione di foglie, infiorescenze, resine e di tutti i prodotti contenenti sostanze derivate dalla pianta di canapa. Con tutta probabilità, questa scelta, oltre a tutelare i più giovani dall’uso della cannabis, colpirà anche altri ambiti, dalla cosmesi all’erboristeria, dagli integratori alimentari al florovivaismo, con una potenziale riduzione di posti di lavoro.

La protesta delle opposizioni appare da un lato di natura prevalentemente economica: esse rimproverano di fatto alla maggioranza di aver preferito alla logica economico-centrica la tutela della salute dei giovani. La sinistra ha insistito più che mai sul futuro dei punti vendita sorti negli ultimi anni per la commercializzazione del prodotto e per la catena produttiva che vede impiegati migliaia di occupati.

Per l’opposizione la nuova normativa potrebbe colpire anche l’uso della cannabis a scopi medici: in realtà quest’ultima, sia detto con chiarezza e con fermezza, non è affatto in discussione. Infatti, cannabis light e cannabis ad uso medico, nonostante derivino dalla stessa specie della pianta della canapa, hanno composizione ed effetti diversi. La differenza principale risiede nella percentuale di principi attivi contenuti nella cannabis, in particolare a fare la differenza è la quantità di delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) contenuto nella pianta. Quando si parla di cannabis light ci si riferisce alla sostanza ricavata dalle infiorescenze femminili della pianta di cannabis, selezionate per il loro basso contenuto di THC, e il nome “light” indicherebbe proprio la presenza minima di THC in questa sostanza. La concentrazione di THC nella cannabis light non deve superare la quantità dello 0,2%, con una tolleranza che si spinge sotto allo 0,6%; ma la canapa light non si acquista in farmacia, solo in negozi particolari, ampiamente pubblicizzati nelle strade limitrofe, teoricamente rivolti solo a persone maggiorenni. Ma non è così: negli anni la concentrazione di THC è andata aumentando e l’acquisto on line consente molti escamotage per l’acquisto anche da parte dei più giovani. La cannabis terapeutica, invece, è disponibile nelle farmacie, può essere comprata solamente dietro prescrizione medica ed è prodotta prevalentemente dall’industria farmaceutica dell’Esercito a Firenze. Nonostante derivino dalla stessa pianta di cannabis, la sostanza light e quella usata per scopi medici sono diverse, a causa delle differenti concentrazioni di THC e CBD presenti nelle due qualità. Per questo, anche le modalità e gli effetti derivati dal loro utilizzo sono molto diversi.

Fatta salva la cannabis terapeutica, da quando la cannabis light è stata autorizzata la sua diffusione ha incentivato il passaggio a forme di cannabis a più alta concentrazione di THC, al punto che dall’Alleanza Verdi Sinistra si alza una voce che chiede: “Legalizziamo e regolamentiamo tutta la cannabis, liberiamola dal monopolio delle mafie: questa sarebbe l’unica sanatoria che è urgente fare”. Con un evidente intento di moltiplicarne ulteriormente uso e consumo e proprio per questo l’accento è messo sull’impatto economico. In Italia attualmente circa 800 aziende coltivano cannabis light e 1.500 si occupano della sua trasformazione, generando un fatturato annuo di circa 500 milioni di euro e coinvolgendo circa 11mila posti di lavoro. Il prodotto coltivato in Italia è molto richiesto anche all’estero, con esportazioni verso Germania, Belgio, Olanda e Francia.

Ma tutto ciò vale la salute fisica, il benessere psichico, la libertà consapevole di milioni di giovani e perfino di adolescenti? Basta per questo ricordare i dati empirici sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia, emersi dalla Relazione al Parlamento pubblicata dal Dipartimento di politiche antidroga nel 2023, in cui si evidenzia un aumento dell’uso di sostanze stupefacenti in Italia, sia nella fascia 18-64 anni sia nella fascia 15-19 anni. Particolarmente preoccupante è l’incremento nella fascia giovanile rispetto ai dati riferiti al 2021 (aumento dei consumi dal 18,7% al 27,9%); nello specifico si segnala la persistenza di una alta prevalenza di uso di cannabinoidi sintetici e delle NPS, che nel loro complesso rappresentano circa il 10% dei consumi. Sostanze “di nuova generazione” che hanno come fonte principale di acquisto il mercato del web. La tendenza generale è quella dell’aumento della media di principio attivo per l’hashish con una contemporanea riduzione del prezzo. A fronte di questa tendenza, per ciò che concerne la salute, si registra un aumento generale dell’utenza sia dei servizi pubblici sia delle comunità terapeutiche, oltre che un contemporaneo aumento degli accessi al Pronto soccorso e dei ricoveri dovuti a problematiche droga-correlate.

Per chi volesse saperne di più, la Relazione al Parlamento pubblicata dal Dipartimento di politiche antidroga nel 2023 è pubblica e accessibile, e vale la pena leggerla con attenzione prima della ripresa del dibattito in Aula a settembre.

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