In quella che sarà ricordata come una delle edizioni più ricche di bei film degli ultimi anni, di sicuro il vero rilancio post-pandemico, Cannes 2023 chiude con un giudizio un po’ più “conservatore” rispetto a quanto i film selezionati facessero supporre, premiando con la Palma d’oro Anatomie d’une chute, il film giudiziario di Justine Triet che racconta in modo puntiglioso e intrigante il processo che vede accusata una donna dell’omicidio del marito. Un’idea di cinema più tradizionale rispetto alle visioni d’autore che si possono scorgere dal palmares, ma si sa che la giuria – quest’anno guidata da Ruben Ostlund, regista due volte Palma d’oro – deve trovare un film che metta tutti d’accordo e quello interpretato da Sandra Huller (bravissima) è fatto di quella pasta.
Huller è anche la co-protagonista di La zona d’interesse, il film diretto da Jonathan Glazer a partire dal romanzo di Martin Amis (da poco scomparso) premiato col Gran Prix, ovvero il secondo premio: il film è da subito stato considerato come il più coraggioso e provocatorio dei film in concorso, raccontando una vicenda legata all’Olocausto ma da un punto di vista insolito e agghiacciante, quello della famiglia di un gerarca che vive accanto a un campo di concentramento. Quello di Glazer, che ha vinto anche il premio della critica internazionale, è forse il film più destabilizzante e inventivo del palmares e forse della competizione, ricca di gesti di cinema precisi e forti e di visioni d’autore complesse e affascinanti: il sorprendente Pot au feu di Tran Ahn Hung premiato per una regia che racconta l’amore per il cibo e il cibo come lettera d’amore; Fallen Leaves di Aki Kaurismaki, un film romantico e minimale che è stato il più amato dalla critica mondiale (e premiato con il premio della giuria); l’umanesimo complesso di Monster, il nuovo film di Hirokazu Kore’eda premiato con la miglior sceneggiatura.
I due migliori attori sono risultati Koji Yakusho, protagonista assoluto di Perfect Days, forse il miglior film di Wim Wenders da almeno 30 anni, storia di un uomo che pulisce i bagni pubblici di Tokyo e vive serenamente, e Merve Dizdar, interprete di About Dry Grasses, film diretto da uno dei grandi aficionados cannensi, ossia il turco Nuri Bilge Ceylan. Ostlund ha di fatto premiato quasi tutti i film più amati e importanti della gara, con l’eccezione di May December, il curioso e sfuggente film di Todd Haynes, e La chimera, il più lodato dei film italiani del concorso a conferma di come Alice Rohrwacher sia la più internazionale delle nostre registe (assieme a Sorrentino). A nostro avviso, gli altri due film nostrani – Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti e Rapito di Marco Bellocchio – sono ancora più belli, ma è chiaro che quelle forme di cinema e i contesti storici sono meno facili da comprendere per il pubblico internazionale, da qui la mancanza di premi.
Tra gli altri premi segnaliamo il miglior film del Certain regard, How to Have Sex, opera prima di Molly Manning Walker, la Camera d’or, ossia il miglior debutto, vinta da Inside the Yellow Cocoon Shell, viaggio nel Vietnam rurale e cristiano diretto da Thien An Pham e l’Œil d’or, il premio al miglior documentario del festival, assegnato pari merito a due dei film più affascinanti della manifestazione: Les filles d’Olfa di Khaouter Ben Hania e The Mother of All Lies, diretto da Asmae El Moudir, premiato anche come miglior regia del Certain regard.
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