La trattativa sul fondo per la ripresa è cominciata, non sarà facile, ma è da notare che non ci sono più veti pregiudiziali. Piuttosto, tutti tirano la coperta dalla loro parte. I Paesi dell’Europa centro-orientale (patto di Visegrád) calcolano quel che possono ricavare. Lo stesso vale per i Paesi cosiddetti “frugali” cioè Olanda, Austria, Finlandia e Svezia che sperano di sborsare il meno possibile e di aumentare la quota di prestiti rispetto agli stanziamenti a fondo perduto. Angela Merkel è stata molto netta e Ursula von der Leyen si è sbilanciata pensando di trovare un’intesa prima di agosto. Il 1° luglio la Germania assumerà la presidenza di turno e darà un colpo di acceleratore: il fattore tempo è decisivo per la Ue, per l’euro e ancor più per l’Italia.
Una frattura irrimediabile o anche una lunga fase di tira e molla può far nascere sui mercati la voglia di dar battaglia scombussolando la moneta unica e magari attaccando per prima cosa i debiti sovrani dei Paesi più esposti a cominciare dall’Italia. A quel punto il balletto diventerebbe una danza macabra. Anche per questo il governo di Roma deve sbrigarsi a preparare un vero piano di riforme e interventi strutturali, condizione indispensabile per ammorbidire il fronte del no e per dare forza e credibilità al fronte del sì. È il nodo da sciogliere e, allo stato attuale, è davvero ingarbugliato. Lo dimostrano gli Stati generali.
Quella in corso a villa Pamphili sarà pure una passerella, ma le sfilate servono a mettere in mostra i prodotti. Il problema, dunque, non è la passerella, ma quel che ci passa sopra. Più o meno tutti sono andati nella palazzina dell’Algardi, al centro del più grande parco pubblico romano, per chiedere, nessuno per annunciare che cosa fare. Con l’eccezione del Governatore della Banca d’Italia, il quale ha detto che il problema del Paese non è la mancanza di liquidità, ma di crescita e bisogna aumentare la “produttività del lavoro” di un punto percentuale l’anno in modo da portare il prodotto lordo a un ritmo medio di un punto e mezzo percentuale in termini reali, quota che consente di tenere il debito pubblico sotto controllo e renderlo sostenibile.
Ignazio Visco ha parlato non di produttività del sistema (che pure va decisamente aumentata), ma specificamente del lavoro. Ciò dovrebbe spingere sindacati e Confindustria a raccogliere la sfida e dire come fare per raggiungere l’obiettivo indicato dalla banca centrale. Invece, abbiamo sentito Maurizio Landini, Segretario generale della Cgil, chiedere assistenza e Carlo Bonomi, Presidente della Confindustria, chiedere il pagamento delle bollette. Intendiamoci, hanno le loro buone ragioni. Ma è un po’ poco per convincere il leader olandese Mark Rutte e ancora meno per garantire che gli stanziamenti a fondo perduto da Bruxelles vengano impiegati per colmare il drammatico gap di crescita che impiomba l’Italia.
L’agenda sindacale, resa esplicita dalla Cgil, esclude di mettere mano a una diversa organizzazione del lavoro, punta sugli ammortizzatori sociali, in attesa che la ripresa arrivi dall’esterno (dalle esportazioni o dai bonus statali). L’agenda confindustriale ne è in qualche modo il pendant: anche i datori di lavoro (o quanto meno la loro organizzazione) sperano che la spinta venga da fuori (export più incentivi pubblici). È vero, a viale dell’Astronomia hanno convocato fior di economisti preparare un ambizioso progetto chiamato Italia 2030, ma per Italia 2020 le cose sono più terra terra. Bonomi ha detto che la prossima stagione di rinnovi contrattuali sarà l’occasione per “una grande battaglia per la produttività del lavoro” e subito dopo ha rilanciato su “incentivi e tassazioni di tutti i fattori della produzione”.
Che l’agenda Cgil e l’agenda confindustriale siano di parte è scontato, ma qual è l’agenda del Governo? Davvero si pensa di aumentare ancora il disavanzo pubblico per consentire altre distribuzioni assistenziali, sotto qualsiasi forma? La terza fase sembra la ripetizione di quelle precedenti. Di investimenti si parla senza fare niente. I cantieri restano bloccati. La commissione Colao ha proposto di adottare le regole europee, molto più rapide, per le infrastrutture strategiche. Franco Bassanini illustrando le proposte dell’Assonime ha detto che occorre “eliminare del tutto i poteri di regolazione di Anac nel settore dei contratti pubblici e le connesse funzioni di controllo ex-ante”. Giuseppe Conte è d’accordo? Da villa Pamphili non è arrivato nessun segnale su questo aspetto decisivo. Non è difficile immaginare il putiferio che susciterebbe all’interno della maggioranza giallo-rossa al grido di lotta alla mafia.
E che ne dice il Governo di 500 comuni che deliberano contro l’introduzione del 5G che, sempre secondo la commissione Colao, è una delle priorità della ripartenza? La rete unica in fibra ottica decolla oppure no? Il Governo vuole entrare nella gestione dell’Ilva, ma ha un piano siderurgico? E le autostrade? Sono tutte questioni chiave da risolvere adesso nel 2020, non nel 2030. Dopo che le indossatrici e gli indossatori saranno avranno concluso la sfilata le idee saranno più chiare? È più che lecito dubitare.