Canto vietato a scuola aumenta il rischio di contagio da coronavirus secondo le indicazioni del Cts. Diciamoci la verità, educazione musicale nelle scuole italiane non è mai esistita, lasciata alla buona volontà di qualche insegnante dotato di bella voce soprattutto alle elementari, quasi fosse un gioco e non una disciplina educativa. Per chi è cresciuto negli anni 70, ancora è vivo il ricordo del flauto dolce, il “piffero” come lo si chiamava, lo strumento più semplice da suonare che vedeva intere classi sfornare suoni inascoltabili e genitori affranti dalle prove casalinghe del figlio. Chi ci è passato, odia ancora quel piccolo strumento. Personalmente non ricordo alcuna lezione di canto nel mio percorso scolastico, neanche canti natalizi e stiamo parlando dei tempi in cui i rapporti Stato-Chiesa erano eccellenti. Tutt’al più un inno d’Italia quando veniva in visita a scuola qualche autorità. Tutto questo benché già nel 1885 una circolare annunciava le attività musicali come “esercizio di canto”.
Con la riforma del 1923, ad opera di Giuseppe Lombardo-Radice e del ministro Giovanni Gentile, nel “grado preparatorio”, coincidente con la scuola materna, furono previste attività di canto e ritmiche, e nella scuola elementare. Il “Canto” diventa disciplina curricolare. Ma solo nelle scuole primarie. Nelle scuole secondarie la lezione di musica era del tutto assente, ad eccezione dell’Istituto magistrale (con due ore di “Elementi di musica e canto corale” e due, facoltative, di Strumento), nel Liceo femminile e, come Canto corale, nelle scuole di avviamento professionale. Nel 1997 con decreto del presidente della Repubblica alle istituzioni scolastiche è conferita l’autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo attraverso il Piano dell’Offerta Formativa. Ecco, autonomia, non materia didattica obbligatoria. In sostanza il canto e l’insegnamento viene lasciato alla buona volontà di qualche maestra che capisce il valore di tale insegnamento. È così, in Italia la musica è sempre stata considerata una perdita di tempo, oppure un momento di distrazione in cui far divertire un po’ gli studenti fra “una lezione seria” e l’altra. La musica, sarebbe inutile dirlo, è una delle più grandi espressioni dell’animo umano, capace di esprimere l’inesprimibile. Educare al canto, all’ascolto dovrebbe essere occupazione primaria delle nostre scuole.
Invece il Cts la vieta. È vero che del Covid-19 sappiamo ancora quasi niente, può essere vero che cantare possa portare alla diffusione di particelle di virus, ma sappiamo anche che nei bambini almeno quelli delle elementari non causa contagio. “Nell’ambito della scuola primaria, per favorire l’apprendimento e lo sviluppo relazionale, la mascherina può essere rimossa in condizione di staticità con il rispetto della distanza di almeno un metro e l’assenza di situazioni che prevedano la possibilità di aerosolizzazione (es. Canto)” scrive il Comitato tecnico scientifico. Secondo Kyriakoula Petropulacos in una intervista al Corriere della sera, componente del Comitato tecnico scientifico per l’emergenza Covid e direttore della Sanità in Emilia–Romagna: “Cantare e urlare aumentano lo spargimento di goccioline che, se infette, hanno la capacità di contagiare. Dunque a scuola, sul canto alle lezioni di musica è meglio soprassedere, a meno di non essere dovutamente distanziati. E’ difficile pensare che tutti in una classe si ricordino che è saggio non alzare la voce o restare in silenzio, ma se lo facesse la maggioranza sarebbe sufficiente”.
È un dato di fatto che tante abitudini, in questo caso il canto (dove lo si fa) debbano essere riviste per un anno scolastico che significa una grande sfida contro l’ignoto. Non è d’accordo il tenore Vittorio Grigolo, che all’AdnKronos ha commentato la decisione del Cts di vietare agli alunni di cantare per evitare situazioni che “prevedano la possibilità di aerosolizzazione (es. Canto)”: “Trovo che sia una decisione assurda. Durante questi mesi di lockdown siamo riusciti a riaprire i nostri cuori proprio grazie alle musica. Mi metto a disposizione del comitato di esperti affinché si trovi una soluzione”. Ad esempio una luna di plexiglass, propone “che permetta al bambino di andare dietro alla luna, avere già il suo spartito e cantare la sua canzone davanti ai compagni di classe senza ‘schizzare’ a nessuno. Diamo ai bambini direttamente la possibilità di avere già degli spettatori -sottolinea- non togliamogli il canto, abbiamo speso tanti soldi, troviamo una soluzione”. I bambini, aggiunge, “sono quelli che hanno sofferto di più la reclusione perché non avevano spazi e non avevano la possibilità di interagire con i loro coetanei. Toglierli anche il canto sarebbe un grande errore. L”Inno di Mameli’ che io ho cantato il 2 giugno è partito dalle case di tutti gli italiani che, essendo privati della loro libertà, hanno trovato nel canto una sorta di liberazione perché nella reclusione riusciamo a far trasparire le nostre emozioni attraverso il canto. La musica fa parte del nostro dna, non toglietecela!”.