“Un mandato colossale” come lo ha definito lo stesso Boris Johnson, quello da lui ottenuto alle elezioni del 2019, la più grande maggioranza assegnata al Partito Conservatore dal 1987 e la più grande percentuale di voti dal 1978. Un mandato finito però con le dimissioni di quello che la stampa inglese ha velenosamente definito “un bugiardo patentato”.
Non è d’accordo con queste definizioni Claudio Martinelli, professore di diritto pubblico comparato e diritto parlamentare all’Università di Milano-Bicocca ed esperto del sistema giuridico britannico, da noi intervistato: “Certamente Johnson ha sbagliato nel coprire gli scandali che sono scoppiati nel suo partito nel tentativo di tenerlo unito, ma va detto che a fronte della gravità del momento storico, pandemico e bellico, che stiamo vivendo, si è trattato di avvenimenti trascurabili, a sfondo sessuale come è caratteristica dei Tory. Ha sbagliato anche, inizialmente, nell’affrontare la battaglia contro il Covid, probabilmente mal consigliato, con l’utopia di raggiungere la cosiddetta immunità di gregge, ma si è corretto subito portando avanti quella che per un certo periodo è stata la più importante ricerca sui vaccini al mondo”.
Boris Johnson lascia Downing Street tra gli scherni e accuse anche pesanti. Merita davvero questi attacchi? Chi è stato davvero?
Vado un po’ controcorrente rispetto a quanto tutti dicono. Le radici di questa crisi risalgono nel tempo e attendono alle dinamiche interne ai Tory.
Cioè?
Quello Conservatore è un partito dilaniato da anni da conflitti interni di varia natura che si sono verificati in particolare sulla vicenda Brexit. Non dobbiamo dimenticare che Johnson è stato il primo “brexiteer” a Downing Street perché sia Cameron che Theresa May avevano una posizione diversa. Il primo era il regista del “Remain”, sul quale è stato costretto a dimettersi dopo il referendum del 2016, e la May, pur essendo molto fredda sull’Europa ma essendo ex ministro del governo Cameron, aveva preso anche lei una posizione simile alla sua. Dentro un quadro di conflitti continui basati su personalismi molto forti che non portavano in nessuna direzione è avvenuto qualcosa.
È arrivato Johnson, è questo che intende?
Quando venne eletta Theresa May, era chiaro che si era puntato su un candidato che non accontentava nessuno ma allo stesso tempo non scontentava nessuno. Dopo il suo fallimento nel convincere il parlamento ad approvare l’accordo da lei stipulato con la Ue, a quel punto il partito si convinse della necessità di fare un salto di qualità. Chi era il miglior candidato per portare a termine la Brexit? Il leader dei brexiteers, cioè Johnson. Ecco perché l’ex sindaco di Londra vince a mani basse il Tory contest del 2019.
Ecco, cosa è successo per passare dall’essere uno dei politici più votati di sempre a essere considerato solo un bugiardo?
Da quando Johnson diventa primo ministro ad oggi sono successe tante cose, e quel che si sta facendo adesso sui giornali è di considerarlo una sorta di pagliaccio capitato lì per caso. Ma non è così. Quella di Boris Johnson è una cifra politica alta, molto pesante, nelle sue determinazioni ma anche nei suoi errori.
Oltre alla mala gestione degli scandali, quali errori gli si possono imputare?
Il primo atteggiamento sul Covid, dove contrariamente a quello che si dice non è stato l’uomo più stupido del mondo. L’errore di Johnson è durato una settimana, in omaggio allo spirito britannico e mal consigliato da qualche consigliere sanitario, quando ha cercato di sconfiggere il virus perseguendo l’immunità di gregge. Se ne è accorto su se stesso finendo in ospedale e rischiando la vita.
Il merito?
L’atteggiamento è cambiato ad esempio per quanto riguarda i vaccini. Non ha avuto dubbi a investire in ricerca scientifica e per lungo tempo l’Uk è stata all’avanguardia. E infine aver portato a casa la Brexit dopo anni di tira e molla, quello che gli aveva chiesto il popolo inglese con il voto del dicembre 2019.
L’atteggiamento bellicoso nei confronti della Russia invece? Come si spiega?
Si spiega con il grado di rappresentatività che lui ha avuto rispetto a una certa storica caratteristica del popolo inglese. Quando determinati valori su cui si fonda il loro modo di pensare vengono violati, gli inglesi diventano i più forti difensori di quei valori, più degli americani. È il popolo inglese che sostiene Zelensky.
Che scenario si apre adesso? Le dimissioni non hanno effetto immediato, ma diventeranno esecutive alla nomina del suo successore nel Partito conservatore. Quindi non prima di ottobre, ma c’è chi chiede elezioni immediate.
Si intrecciano questioni costituzionali con dinamiche politiche. Il Regno Unito non è caratterizzato da una Costituzione codificata e scritta. La palla in questo momento è tutta in mano ai Conservatori, in particolare al loro gruppo parlamentare. Fu così anche con la May. La procedura prevista dai Tory per l’elezione del proprio leader prevede una lunga serie di votazioni. Colui che diventa leader viene nominato dalla Regina primo ministro. Non ci può essere una situazione in cui arriva il giorno dopo un successore. Quella di Johnson non è una sua scelta, lui ha annunciato le dimissioni ma rimane primo ministro fino a quando non si sarà scelto un successore.
C’è però chi chiede un leader ad interim fino a quando non verrà nominato il successore, è una strada praticabile?
Come detto, non ci sono norme costituzionali scritte. Potrebbe accadere, ma sarebbe un’innovazione non da poco. Come si fa a dire alla Regina di aver trovato un premier, e sulla base di quali regole? C’è una serie di problematiche che rendono difficile questa strada rispetto a quella più lunga ma più garantita del voto interno.
C’è anche una mozione di sfiducia parlamentare in ballo che porterebbe al voto.
È ovvio che gli oppositori del Partito conservatore fomentino la possibilità di presentare una mozione di sfiducia, però hanno remora a farlo perché i Tory hanno una maggioranza amplissima. Teoricamente la legislatura finisce a dicembre del 2024, siamo adesso a metà legislatura. Chi glielo fa fare di suicidarsi per mandare a casa Johnson? Significherebbe che un pezzo importante dei Tory vota la mozione di sfiducia insieme agli scozzesi e ai laburisti, ma questi signori poi devono andare nei loro collegi a giustificarsi.
C’è un successore papabile?
No. Il problema dei Tory è che ci sono tanti colonnelli e nessun generale. Non c’è un nuovo Boris Johnson. La situazione è simile a quella che portò alla elezione di Theresa May. Potrebbe venir fuori una figura di secondo piano come lei che non scontenta nessuno. Paradossalmente se fosse così non si dovrebbe aspettare fino a ottobre perché se i leader si mettono d’accordo tutti si sottraggono alla candidatura e rimane una figura sola. E il gioco è fatto.
(Paolo Vites)
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