A cento giorni dalla presa del potere dei talebani in Afghanistan, il paese si trova davanti a una crisi umanitaria fra le più drammatiche. Nei vent’anni di presenza occidentale più di tre quarti della spesa pubblica era stata sostenuta dall’estero, così come il 40% del Pil. Tali aiuti non erano comunque sufficienti, metà della popolazione viveva sotto la soglia della povertà: “L’Occidente nei vent’anni di occupazione non è stato in grado di avviare una indipendenza economica del paese” ci ha detto Gian Micalessin, corrispondente di guerra de Il Giornale, “ha solo continuato a versare aiuti a pioggia, che dopo l’occupazione di Kabul sono stati sospesi”.
Milioni di persone soffrono oggi la fame, ci sono gravissimi problemi di malnutrizione e gli ospedali ancora aperti sono rimasti senza fondi e vengono mandati avanti da persone che non ricevono lo stipendio da mesi. “I talebani stanno fallendo anche nella loro promessa principale, quella di garantire la stabilità interna, perché la fame e la presenza sempre più vistosa dell’Isis-k hanno reso ingovernabili molti territori del paese” ci ha detto ancora Micalessin.
Dopo i primi 100 giorni di governo talebano, l’Afghanistan è un paese alla fame. Loro dicono che è colpa dell’Occidente, che non manda aiuti economici, mentre l’Occidente preme per ottenere il rispetto delle libertà individuali in cambio di aiuti, ma senza arrivare a nulla. E’ questa la situazione?
Il paese è piombato in un vicolo cieco. I talebani non hanno accettato alcun patteggiamento sui diritti umani, compresi quelli delle donne. Aiutare economicamente l’Afghanistan assumerebbe il significato di una sorta di capitolazione dell’Occidente, concedere qualcosa in cambio di niente, perché da parte talebana c’è chiusura totale a qualsiasi richiesta.
Questo però vuol dire che in vent’anni l’Occidente non è stato in grado di creare un paese in grado di stare in piedi economicamente?
Certo, ciò dipendeva in gran parte dagli aiuti occidentali. Abbiamo poi assistito, ad agosto, all’esodo di personale qualificato, che ha contribuito a peggiorare le cose in modo ancora più drammatico. E’ una situazione che lascia ben poche speranze e che si rifletterà sempre più in una situazione di difficoltà anche per il governo talebano. Si sta creando un profondo malumore nella popolazione, che non è più quella di vent’anni fa, abituata a un certo stile di vita, soprattutto nelle città. Non certo nell’Afghanistan rurale, dove le condizioni di vita sono sempre state le stesse. Sarà molto difficile per i talebani continuare a governare il paese.
Ma il Pakistan, dove i talebani sono nati e sono sempre stati sostenuti, non li aiuta dal punto di vista economico?
Il Pakistan ha i suoi problemi, è un paese in profonda crisi, nonostante eserciti un controllo ipotetico sui talebani, ma non può sorreggerli dal punto di vista economico.
E’ vero, come si dice, che sono divisi al loro interno?
Sì, Kabul è stata conquistata dalla fazione talebana più vicina ad al Qaeda. Perdura una triplice divisione, che è emersa in modo chiaro quando lo stesso Qatar, che aveva sostenuto il dialogo con gli Stati Uniti, si è detto poco disponibile a continuare a trattare. Si sono dichiarati delusi dal tradimento della promessa di inclusività che i talebani avevano fatto. E’ stato a quel punto che il vice primo ministro talebano, autore del dialogo con gli americani, è stato messo in secondo piano.
Dal punto di vista militare, invece, l’Isis-k rappresenta realmente una minaccia per i talebani?
Certo, è un pericolo reale. Negli ultimi mesi ha ottenuto una grande espansione, è presente in molte province e si alimenta proprio del malcontento popolare: è un oppositore interno con cui i talebani devono fare i conti.
Che prospettive vedi davanti a tutto questo? I talebani riusciranno a conservare il potere o si arriverà a una crisi destabilizzante?
In questo momento il potere è nelle loro mani, ma resta da capire quanto questa incapacità di gestirlo e quanto la crisi economica amplieranno le loro divisioni interne. Un ritorno allo scontro interno potrebbe provocare il caos e segnare il completo fallimento della loro principale promessa, quella di saper garantire la stabilità interna.
Nelle ultime ore i talebani hanno avanzato una bizzarra richiesta all’Unione europea, chiedendo di essere aiutati a gestire gli aeroporti così da poter permettere a chi vuole andarsene dall’Afghanistan di poterlo fare. Potrebbe essere interpretato come un primo segnale di apertura?
A me sembra che siano alla disperazione. Comunque non ce la vedo l’Unione europea, sempre così attenta ai diritti umani, a intavolare una trattativa con un paese che rappresenta l’abisso dei diritti umani.
(Paolo Vites)
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