A Doha, capitale del Qatar, funzionari del Dipartimento di Stato americano e consiglieri del mullah Haibatullah Akundzada, leader supremo dei talebani, si sono incontrati per discutere l’invio di aiuti umanitari alla popolazione afghana da parte di Washington. Se è vero che l’Afghanistan versa in una crisi economica drammatica, è altrettanto vero che nessuno si sarebbe aspettato una tale mossa da parte del “diavolo americano” (come i talebani definiscono gli Stati Uniti), che porterà inevitabilmente a una stabilizzazione della sanguinaria dittatura islamista.



Semplice buon cuore da parte di Washington o disinteresse per i diritti umani della popolazione? Per il generale Marco Bertolinigià comandante della Brigata paracadutisti Folgore a Kabul nel 2008 e capo di stato maggiore Isaf in Afghanistan, “si tratta di aiuti evidentemente già previsti nei precedenti accordi di Doha, aiuti economici in cambio di una presa di potere talebana pacifica, in quanto comunque inevitabile. Bisogna tener conto che l’Afghanistan è sempre dipeso dagli aiuti esteri, anche durante il ventennio di occupazione americana, in quanto paese non in grado di sostenere economicamente se stesso”. Inoltre, ci ha detto ancora Bertolini, “gli americani sono consapevoli che la politica delle sanzioni, come quella messa in atto contro paesi come Iran o Siria, porta solo danni alla popolazione e non scalfisce minimamente i regimi, anzi le sanzioni verrebbero facilmente aggirate da altri paesi, che così taglierebbero del tutto fuori gli Usa dalla situazione regionale”. Si tratta di realpolitik, conclude Bertolini.



Gli aiuti umanitari sono senz’altro qualcosa di positivo, ma non ritiene che in questo modo gli americani contribuiscano a stabilizzare e a rafforzare il potere dei talebani?

Ricordiamo che l’Afghanistan vive da sempre, anche durante il ventennio di occupazione americana, dell’aiuto dei donors, dei paesi donatori. L’Afghanistan non produce risorse sufficienti per sfamare la propria popolazione, per vari motivi, come il fatto che le coltivazioni di grano sono sostituite da quelle di oppio. Che l’Afghanistan abbia bisogno di aiuti dall’esterno non è certo una novità.

Sì, ma in questo modo il regime talebano resterà in piedi più forte che mai, non crede?



L’accordo fra americani e talebani è sicuramente un accordo preventivato nel corso dei precedenti accordi di Doha, quelli stretti al tempo dell’amministrazione Trump, affinché si potesse arrivare a una transizione più o meno pacifica. I talebani contavano sulla continuità di questi aiuti da parte americana. Per quanto riguarda l’altro aspetto, questi aiuti andranno certamente alla popolazione, ma daranno stabilità al governo talebano, non c’è dubbio che sarà così. D’altronde, in troppe occasioni le sanzioni imposte, pensiamo solo all’Iran o alla Siria, per colpire i regimi si sono poi scaricate sulla popolazione.

I talebani stessi hanno detto che la priorità adesso è la stabilizzazione del paese e che dei diritti umani ci si occuperà dopo, visti gli attacchi terroristici dell’Isis. Quanto ci si può fidare di una promessa come questa?

Non so se sia una promessa. Per quel che riguarda il periodo precedente, anche l’Isaf (Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza, una missione della Nato, autorizzata dall’Onu, di supporto al governo dell’Afghanistan nella guerra contro i talebani e al-Qaida, ndr) ha sempre messo in primo piano la sicurezza. Senza di essa non è possibile costruire e aiutare. La logica purtroppo è la stessa.

In futuro il controllo della popolazione sarà meno oppressivo e si passerà a una maggiore libertà?

Onestamente non so se si possa credere ai talebani. Sicuramente al momento la priorità assoluta è evitare che il paese diventi un bubbone che fa crescere al suo interno l’Isis. Questo sarebbe un pericolo enorme per tutta l’area. I talebani hanno una vocazione regionale, l’Isis ha una vocazione globalista e il pericolo che esportino da un’area sicura in Afghanistan la loro conflittualità in tutto il circondario è reale.

Non a caso anche i russi si sono detti preoccupati. Pensa che americani e russi possano collaborare a livello militare con i talebani contro l’Isis?

Al momento è ancora prematuro parlarne. Non c’è dubbio che per i russi il problema sia ancora maggiore, gli americani si trovano a due oceani di distanza. Per i russi effettivamente l’Isis è una minaccia importante, ricordiamo quanto sono già stati colpiti dall’islamismo radicale. Si impegneranno anche i cinesi perché l’Afghanistan non diventi un’area di terrorismo, se poi aiuteranno i talebani non lo so. Ma tornando a quel che dicevo prima sugli aiuti umanitari, gli americani li garantiranno non solo perché era già previsto che lo facessero, ma anche per evitare che questi aiuti arrivino da altre parti. L’Afghanistan è un crocevia delicatissimo, dalla Cina alle ex Repubbliche sovietiche, dall’India all’Iran: se ci fosse un embargo americano, questo embargo verrebbe aggirato da altri. Washington si sta comportando in maniera molto realista.

(Paolo Vites)

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