Il cessate il fuoco concordato dal governo di Kabul e talebani per gli ultimi tre giorni del Ramadan è terminato con la ripresa degli scontri armati nel sud dell’Afghanistan nonostante la richiesta del governo di proseguire la tregua. Contraddicendo il dialogo di pace in corso ormai da parecchio tempo per un possibile ingresso dei talebani al governo, il loro portavoce ha dichiarato che non hanno nessuna intenzione di cessare il fuoco prima di “aver completato gli obiettivi per i quali combattiamo da vent’anni”, che significa essenzialmente la restaurazione dell’Emirato islamista.



Secondo il generale Marco Bertolini, già comandante del comando Operativo di Vertice Interforze e della Brigata Folgore in molte missioni internazionali, dal Libano alla Somalia e all’Afghanistan, “l’abbandono in corso da parte degli americani e della Nato sta facendo sentire i talebani con il vento in poppa, Kabul da sola non è in grado di resistere a una guerra di logoramento che può durare anni. La situazione in Afghanistan è molto grave, negli ultimi sei mesi le truppe governative hanno abbandonato oltre 200 postazioni sotto la pressione delle forze talebane”.



Contrariamente a quanto detto negli accordi di pace in corso ormai da tempo, i talebani si dichiarano decisi a portare avanti le ostilità contro il governo di Kabul mentre prosegue il ritiro delle forze americane e di quelle della Nato. Quanto potrà resistere il governo nazionale da solo contro i talebani secondo lei?

La situazione è tutt’altro che buona. Le forze locali denunciano palesemente un senso di abbandono non indifferente da parte nostra. Questo è il sentimento generale. Da un punto di vista strategico c’è da dire invece che evidentemente gli americani non hanno più interesse a rimanere in Afghanistan per gli scopi per i quali erano intervenuti. Noi e con noi la Nato siamo legati a loro, siamo andati perché ci andavano loro e insieme a loro ce ne andiamo anche noi.



I talebani alzano la voce proprio perché con il ritiro americano e della Nato si sentono più forti?

Le minacce talebane arrivano perché è chiaro che in questo momento sentono di avere il vento in poppa, escono già, a prescindere da quello che succederà, come vincitori di questa guerra dei vent’anni. Quindi credo che questo loro atteggiamento bellicoso sia dovuto a questa volontà. Bisogna vedere se vincono o stravincono: se tirano troppo la corda potrebbe verificarsi qualche conseguenza.

Ma da parte di chi?

Questa è la domanda da porsi. Il governo afgano non ha la forza per resistere a una guerra di logoramento come potrebbe essere una guerriglia che dura anni, il supporto occidentale è indispensabile. Gli americani manterranno sempre una presenza militare se non altro di controllo del territorio, su questo gli afgani possono contare, ma senza gli uomini sul terreno sarà un apporto molto meno efficace.

Questo ritiro rappresenta una svolta nella politica estera americana e della Nato? Significa che in futuro non ci saranno più interventi analoghi?

La Nato è nata come alleanza finalizzata a contrastare il Patto di Varsavia. Dopo la caduta del muro di Berlino si è data un compito nuovo, la cosiddetta esportazione della democrazia con queste operazioni fuori area. Adesso la Nato probabilmente torna alla sua missione originaria viste anche l’acuirsi delle tensioni con la Russia.

Che cosa comporterà?

La nuova amministrazione americana ha riesumato toni di contrasto a cui non eravamo più abituati. C’è solo da sperare che da questo abbandono dall’Asia centrale non risulti un nuovo irrigidimento militare nei confronti della Russia, perché questo spaccherebbe ancora di più l’Europa ma soprattutto potrebbe innescare pericoli di carattere bellico non indifferenti.

(Paolo Vites)

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