Con la conquista del potere da parte dei talebani si sono chiusi i rubinetti degli aiuti economici occidentali, soprattutto americani, all’Afghanistan. Questo a parole e per il momento. Gli afflussi di denaro estero valevano fino al 2020 il 43% del Pil del paese, mentre la spesa pubblica era finanziata al 75% da prestiti agevolati stranieri. Proprio alcuni giorni prima della caduta di Kabul dovevano arrivare 450 milioni di dollari dal Fondo monetario internazionale, finanziamento che è stato sospeso.



La Banca centrale afghana non ha più a disposizione i 9 miliardi di dollari di riserve monetarie custodite all’estero. Un quadro del genere è destinato a mettere in ginocchio una economia che è già tra le più povere del mondo. Secondo però Rony Hamaui, docente dell’Università Cattolica di Milano, esperto di geopolitica e di finanza islamica, “l’Occidente non ha intenzione di ripetere gli stessi errori compiuti in Siria, dove con le sanzioni si è prodotta una miseria tale da creare un flusso enorme di profughi. Gli americani hanno abbandonato militarmente l’Afghanistan, ma hanno creato tavoli di dialogo che hanno aperto dei canali. Molti leader occidentali hanno detto chiaramente che è interesse di tutti non chiudere ogni porta ai talebani, la discussione è aperta ed è interesse di tutti non ridurre il popolo afghano alla fame”.



Come era prevedibile, la presa del potere da parte dei talebani ha portato all’immediata sospensione degli aiuti economici occidentali all’Afghanistan. Che conseguenze ci saranno?

In realtà, non sono sicurissimo che l’Occidente interromperà gli aiuti.

Perché?

Si è già dimostrato un gravissimo errore in passato, ad esempio in Siria, con le sanzioni. C’è una profonda angoscia provocata dalla paura dell’arrivo incontenibile di una marea di profughi. Se lasci morire la gente di fame, non dai altra scelta che continuare a farli scappare. Se invece li aiuti, è possibile che rimangano in Afghanistan. Su questo tema è in corso una forte discussione e credo che probabilmente la situazione che emergerà è che gli aiuti, seppur in una certa forma e in un certo modo controllato, continueranno. Se dobbiamo imparare qualcosa dal passato, credo che sarebbe un grave errore tagliare tutto.



I talebani però non sembrano esattamente il tipo di persone che hanno a cuore il bene del popolo e potrebbero usare quegli aiuti per armarsi e reprimere. Che ne pensa?

Di armi ne hanno fin troppe. Gli americani hanno lasciato in Afghanistan di tutto e anzi i talebani non sanno che farsene, tanto è vero che stanno cominciando a esportarle e a rivenderle. Credo che un arsenale militare non sia mai stato abbandonato in questo modo. Dipende, come dicevo, da come gli aiuti verranno elargiti, in che forma e lungo quali canali. Il mondo non è bianco e nero, ha tonalità di grigio e così è anche il mondo degli aiuti economici.

Si potrebbero mandare gli aiuti direttamente alle Ong, qualora, ovviamente, rimanessero in Afghanistan?

Si possono mandare viveri e medicinali sfruttando canali che raggiungono in modo diretto la popolazione. Non credo ci sia un pericolo enorme ad aiutare questa gente. Oggettivamente per l’Occidente sarebbe molto più rischioso lasciarli morire di fame.

Intanto l’Afghanistan continuerà a vivere grazie alla produzione di oppio, che rappresenta il 90% della sua economia?

Ci sono due strade, e quella dell’illegalità è certamente una. L’economia afghana si basa ampiamente sulla produzione di stupefacenti. I talebani, nonostante le promesse, credo che continueranno a mantenere la coltivazione di papavero, che rappresenta una larga fetta dell’economia afghana. Bisognerà capire se la vorranno sostituire con un tipo di economia più sana.

Visto che neppure gli americani hanno interrotto la coltivazione dell’oppio, non saranno certo i talebani a farlo, non crede?

Infatti. Nel breve periodo il 90% dell’economia afghana andrà avanti così. Nel lungo periodo saranno le variabili politiche a cambiare o meno il quadro. Se ci sarà un minimo di pragmatismo da parte dei talebani, resta qualche speranza che le cose migliorino, altrimenti saremo di fronte a una nuova Siria. Bisognerà capire che tipo di paese nascerà. Ci sono molte regioni dove lo Stato centrale non esiste più, esistono tribù, potentati locali: nessuno è in grado di prevedere cosa succederà e che tipo di economia nascerà.

L’Afghanistan ha anche enormi risorse minerarie che in questi vent’anni nessuno ha cominciato a sfruttare.

Sì, e sono risorse che interessano moltissimo a russi e cinesi, ma anche agli occidentali. Onestamente non credo che l’Occidente questa volta chiuderà ogni porta. Bisogna anche essere un po’ cinici: gli americani se ne sono andati, ma hanno intavolato delle relazioni, degli accordi, dei canali che rimangono aperti. Lo hanno detto anche molti leader occidentali: non bisogna chiudere ai talebani. Da un punto di vista economico, se emergerà un atteggiamento pragmatico da parte dei talebani, l’Occidente non è interessato ad aprire un fronte o imporre degli embarghi. Naturalmente, se l’Afghanistan dovesse tornare di nuovo a essere il centro del terrorismo mondiale, le cose cambieranno. La questione per ora resta aperta.

(Paolo Vites) 

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